Che fosse tutta una questione di sguardo, Matt Reeves lo aveva già palesato nel bellissimo Cloverfield (2008). Ora, a distanza di oltre dieci anni, il regista torna a lavorare su questo tema provando a dare vita a un nuovo Batman. Nascosto sotto una lunghezza spropositata (poco meno di tre ore), una Gotham City più cupa, piovosa e notturna che mai, dietro a una moltitudine di maschere (alzi la mano chi riconoscerebbe Colin Farrell senza sapere il personaggio che interpreta) e un gruppo decisamente nutrito di iconici personaggi (ci sono bene o male un po’ tutti i comprimari del Pipistrello), si cela un film decisamente più teorico di quanto non possa sembrare; un film che vuole fare i conti con l’immaginario contemporaneo e con le paure più asfissianti della società in cui è calato; un film che vuole vederci chiaro e che racconta di personaggi impossibilitati a comprendere la realtà che li circonda a causa di (o nonostante) un’ottima visuale. Non è un caso quindi che The Batman si apra con la soggettiva di un voyeur. Qualcuno (lo spettatore?) sta spiando senza essere visto, attraverso uno strumento di ausilio che rende la sua vista “speciale”, più performante. Non si contato le battute in cui i personaggi fanno riferimento ai verbi to see (vedere) o to watch (osservare), per non parlare di termini come watchmen (guardiani) o simili.
Tutti vedono tutto in The Batman, aiutati da una torcia nell’oscurità mefistofelica di Gotham City o grazie a telecamere di sorveglianza, a microspie fantascientifiche adagiate (guarda un po’) su alcune lenti a contatto di ultima generazione. Nonostante il buio, tutto è dannatamente chiaro, illuminato, cristallino. Eppure è proprio qui, in questo terreno di gioco fintamente scoperto, che si annida il male. Proprio qui dove tutto è limpido, si nasconde una verità difficile da accettare. Tutti sono coinvolti, tutti hanno qualcosa da nascondere, tutti mentono. In questa spirale profonda e spietata che coinvolge ogni personaggio e ogni abitante di quell’universo, il piano architettato dall’antagonista di turno (l’Enigmista interpretato da Paul Dano) è proprio quello di spalancare gli occhi del mondo. Disseminando omicidi e indizi qua e là, la caccia al tesoro da lui orchestrata condurrà ogni personaggio a dover fare i conti con la propria identità. Cadono le maschere in The Batman, sia quelle narrative dei vari pinguini, donne gatto, funzionari corrotti o uomini pipistrello, sia quelle simboliche degli individui comuni disposti a tutto pur di difendere la loro identità, la loro privacy, i loro segreti. Sono infatti i dati sensibili, il proprio passato, la propria memoria, il proprio credo a essere messi in discussione dall’Enigmista.
Matt Reeves porta così in scena le paure più evidenti di una società in cui tutti possono vedere tutto, possono profilarci, possono conoscerci senza mai averci incontrato prima. Una società dove ogni singolo dettaglio, gesto, caratteristica si palesa alla luce di un sole più artificiale e spento che mai e dove la cosa più preziosa che possediamo, la nostra identità, viene costantemente nascosta negli angoli più bui e remoti della nostra psiche. Se in Cloverfield l’azione del vedere gettava le basi per l’ossessione della testimonianza, del virale, qui viene invece impiegata come unica ancora di salvezza alla quale aggrapparsi per non vagare nelle tenebre. Il Batman martoriato fisicamente e straziato psicologicamente di Reeves è così un Batman nato ai margini dell’immaginario che lo precede. È un Batman sporco e cattivo, che trae linfa dalle atmosfere vivide di Fincher per insistere in maniera più consapevole nella creazione di un universo concreto e ancor meno fantastico di quello imbastito da Nolan. The Batman si fa quindi portavoce di uno sguardo nuovo, appunto. È un progetto figlio dei suoi tempi (come già detto, la durata, la narrazione seriale e il numero di personaggi iconici lo certificano) ma che si discosta dall’omologazione drammaturgica tipica di simili prodotti. Reeves inizia in medias res, sa bene che il pubblico non necessita di una nuova origin story. Batman è conosciuto, è consolidato, è già nato negli occhi di chi guarda grazie a tutte le schegge precedenti. La sfida è proprio quella di provare a modellare quella materia o, semplicemente, guardarla da un nuovo punto di vista. Una questione di sguardo, si diceva. No?