Lo stato più alto che un filosofo possa raggiungere è la posizione dionisiaca verso l’esistenza: la mia formula perciò è amor fati
F. Nietzsche
Esiste un’estetica dell’amore tra due persone? Cláudia Varejão autrice del film nella Sezione Visti da vicino al Festival di Bergamo numero 39, prova a dare risposta a questa domanda, a molte altre in verità mettendo a segno dei colpi in tema di lavoro sulle immagini. Amor fati oltre a confermare, ancora una volta, come le immagini possano essere messe al servizio di una funzione non esclusivamente narrativa – ma questo, in realtà, lo avevamo già in altri casi verificato – apre interessanti riflessioni su una possibile estetica dell’amore di coppia che non resti confinata ad un amore carnale, occasionalmente spogliato da ogni sensualità, vivacemente e intensamente vissuto al di là di ogni legame proficuamente rivolto ad uno scopo, ma solo perché merita di essere praticato, perché costituisce completezza del proprio stesso essere. La regista portoghese indaga su queste coppie non solo umane, senza alcuna intenzione di esprimere giudizi e al di fuori di ogni finzione, cogliendone il segreto legame che unisce le esistenze. Il suo racconto diventa frammentario con le sue coppie di anziane o giovani sorelle, le coppie formate dall’uomo e dal falco o dal musicista con il suo violoncello, dalla madre con il figlio non vedente, dall’uomo con il suo cavallo. Queste (non) storie di coppie diventano il terreno sul quale saggiare, attraverso l’assoluta inconsistenza delle immagini, la palpabilità del sentimento, le pieghe di quel legame che diventa unico e attraversato solo dalla comunanza degli intenti, dalla fatale attrazione in cui la macchina da presa li sa cogliere. Una difficilissima e coraggiosa indagine che all’apparenza non è neppure filmabile (un po’ come il vento per Ivens), ma diventa scommessa e al pari dell’indagine sull’atteggiarsi dell’amore, anche indagine sulla sua estetica e di quello che le immagini sanno conservare di un frammento amoroso. Senza riferimenti all’opera di Barthes ci pare davvero che il film di Cláudia Varejão si giochi in questi frammenti quasi catturati, in una consequenzialità che molto è determinata dall’interazione della coppia. È in questo senso che i frammenti sanno offrire il senso di quella che, forse impropriamente, abbiamo chiamato estetica dell’amore. Frammenti di vita comune, senza sovrastrutture, che risultano efficaci poiché legati da un montaggio molto attento, che costituisce, evidentemente, la spina dorsale del film, diventando modalità essenziale per la sua realizzazione.
In questa ulteriore modalità, che prescinde dalla volontà narrativa e da quella descrittiva, il film trova la sua forma astratta, una modalità “vuota” che appartiene all’idea aerea che la sorregge. Finalmente Varejão sa trovare la forma ad una essenzialità fragile delle immagini dentro le quali resiste forte l’idealità che le ha originate e sfuma ogni altra attesa che non sia quella di una specie di trasparenza dentro la quale vivono i corpi dei protagonisti che interagiscono con l’altro soggetto d’amore fatalisticamente incontrato. Amor fati si ricorda, dunque, per il suo coraggio, per l’originalità dell’idea che lo ha ispirato, per la sensibilità che Cláudia Varejão ha saputo trasferire nelle sue immagini, ma anche per la possibilità, rara, che sa offrire, quella di uno sguardo d’autore sganciato da qualsiasi spettacolarità, perfino dalla necessità minimale di una eccezionalità. Tutto diventa estremamente naturale, tutto è guardato dalla distanza necessaria per osservare il tutto e il particolare che lo rende manifesto. Un film spogliato da ogni sovrastruttura verbale che ne possa appesantire la visione o, peggio, rompere l’equilibrio che naturalmente lo percorre. Cláudia Varejão, non si sa quanto consapevolmente, nel citare la frase del filosofo tedesco sembra riassumere con le sue immagini anche uno dei suoi concetti più noti. Il tema del dionisiaco diventa, infatti, la traccia evidente del film in quella completezza che diventa entusiasmo irrazionale per la vita, che si realizza in quella pura sensualità senza scopo se non quello di un reciproco completamento esistenziale. È dentro questi concetti astratti, in sé non filmabili, che Cláudia Varejão compie il suo gesto artistico: disegnare nel vuoto segni di questa gioiosa esistenza, offrendoci una sua versione dell’estetica dell’amore.