Kommunisten, porzioni di testo straubiano

aufm02_zoomL’energia dispendiosa del pensiero si traduce nella traccia di un cinema che ripensa se stesso, non potendo (forse) ripensare la Storia: Kommunisten di Jean-Marie Straub riattiva l’archivio del suo autore, reinnesta la lezione di un filmare che è rigore – nonché forma visibile e sensibile del pensiero, per l’appunto – sul tronco antico di una inesausta lettura del Tempo come scrittura del destino dei popoli. La pietà sorretta dalla dignità, che è anche capacità di indignarsi, sta tutta nella metodica da exquisite corpse del film, in questa frazionatura (non nuova per l’autore, è vero) che collaziona porzioni di testi (perlopiù) straubiani per produrre un sentimento che sembra innalzarsi verso un empireo che ignora la caducità degli eventi storici. Il nuovo mondo tratto dal sublime Peccato nero su cui il film si chiude svetta come un’altezza malinconica, opponendosi drasticamente alla contrapposizione di fragilità (dei prigionieri) e cinismo (dell’aguzzino, cui da voce lo stesso Straub) del greve interrogatorio su cui si apre il film, nella prima porzione (l’unica inedita) basata su Le Temps du Mépris di Malraux.

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Kommunisten sta tutto in questa scansione di tensioni verso un alt(r)o che è l’opposto di sé: da interrogare, narrare, ascoltare, indagare, osservare… Straub intreccia il disporsi placido e immoto sulla scena dei corpi come fosse una scansione geometrica tra distanti frequenze sceniche: la prima porzione, da Malraux, sfugge alla voce indagatrice fuoricampo dell’autore, opponendola alla dignità emaciata dei due prigionieri, o allo schermo nero su cui si sussegue la metrica narrativa nella scena seguente e al fuoricampo delle due figure di spalle su cui si chiude il frammento. La frontalità scenica cui si offre il dialogare di Operai, contadini (tutto una tensione di confronti tra l’attesa e la rinuncia), lascia il campo (lungo) all’uscita degli operai dalla fabbrica del Cairo tratta da Troppo presto, troppo tardi, che è tutto un afflato contemplativo lumièriano destinato a coprire la distanza dello sguardo e la febbrile casualità dell’azione. La panoramica da Fortini/Cani ad abbracciare le Alpi Apuane che accolsero la resistenza si spinge nel verdeggiare de La morte di Empedocle per spegnersi infine nel nuovo mondo di Peccato nero… Il dire è la scelta del confronto che testimonia, che afferma, che imprime il Tempo dell’Uomo alla Vita e ai Luoghi. Ecco, Kommunisten è l’utopia del già detto che rigenera la tensione oppositiva di un’idea alla prosaica dettatura/dittatura della Storia. E Straub la definisce, questa utopia, come un sogno incisoKOMMUNISTEN_STRAUB nel corpo del proprio cinema. Si sente una distanza dal presente della vita (ma non certo dalla vita) che riverbera nel sogno stesso di un filmare che sfugge alla sua matericità: questo film è una silloge in cui il lirismo è già detto altrove, offerto a corpo morto in un gesto determinato. Straub dischiude il suo cinema, e lo dichiara ancora e sempre nel presente.