Il cambiamento non è mai facile da accettare. C’è una naturale resistenza nella natura umana che fa sì che esso sia vissuto in modo complesso e spesso ostacolante. E questo non tanto nel soggetto che agisce, ma nelle persone che lo circondano. A maggior ragione se il cambiamento porta con sé il successo. Questo è l’assunto di La felicità degli altri (Le bonheur des uns… con quei puntini di sospensione che suggeriscono il completamento del proverbio, qui rovesciato, “… fait le malheur des autres”) di Daniel Cohen, tratto dalla sua pièce teatrale L’île flottante (che ancora non è stata portata in scena). Léa (Bérénice Béjo) e Marc (Vincent Cassel) sono amici di lunga data di Karine (Florence Foresti) e Francis (François Damiens): le due donne si conoscono fin dall’infanzia e i quattro oltre a passare le vacanze insieme si frequentano abitualmente. Nel corso di una cena in un ristorante si ritrovano a fare il bilancio sulle loro esistenze: Karine si dichiara realizzata nel lavoro e nella famiglia, lo stesso vale per il marito e anche per Marc, in attesa della promozione a International Key Account Manager nell’azienda di alluminio in cui lavora. Anche Léa, commessa in un negozio di abbigliamento di un centro commerciale, si dice soddisfatta, ma non viene creduta e tacciata di essere un’indecisa («incapace di prendere decisioni e iniziative»), per nulla ambiziosa («meriti di più che vendere vestiti»). In realtà lei è in lizza, su pressione del suo responsabile Paul (lo stesso Cohen), per diventare direttrice di un nuovo punto vendita a La Défense, ma soprattutto rivela ai commensali che ha iniziato a scrivere un libro.
Una notizia dapprima considerata una boutade, ma che quando diventa realtà scatena reazioni inaspettate che si acutizzano con il passare del tempo. Marc si sente tradito perché non sapeva della passione di Léa per la scrittura e dimostra scarso interesse quando lei gli chiede di essere il suo primo lettore. Karin inizia a denigrarla dicendo che a scuola era pessima ed entra immediatamente in competizione tanto da iniziare a scrivere un libro. Incapace di essere felice per l’amica e provando invidia per un talento che lei sa di non possedere, finisce per vantarsi sempre più apertamente di averle dato delle idee per il suo romanzo. Francis, che non vuol essere da meno, esplora la sua vena artistica dapprima nella musica (facendo dell’«électro engagé, un mix di David Guétta e Léo Ferré» che riesce solo a far piangere i figli), poi nella scultura, nell’arte del bonsai, nella poesia per approdare infine alla cucina. Nel frattempo il libro di Léa diventa un best seller, cosa che la obbliga a lasciare il suo lavoro e a fare i conti con la gelosia preventiva del compagno e l’invidia sempre più evidente degli amici.
Una commedia con dialoghi brillanti e tempi perfetti che fotografa le dinamiche relazionali con acume. Come spesso succede l’insicurezza di Léa – spassosa la scena iniziale al ristorante al momento di scegliere il dessert – è rassicurante per chi vuole vedere in lei una persona fragile, bisognosa di protezione (l’amica si considera una sorta di sorella maggiore, il compagno la sua roccia). «Niente cambierà, rimarrà tutto uguale per l’eternità», è costretta a dichiarare a un certo punto Léa per tranquillizzare Marc. Ma quando il suo tenore di vita cambia in maniera significativa (può permettersi un meraviglioso appartamento in cui Marc non si sente a casa), agli occhi degli altri è Léa a non essere più quella di prima («Sei cambiata, non sei tu in questa foto», dice Marc; «Léa è cambiata, si è montata la testa», ripete Karine). Così finalmente Léa, acuta osservatrice degli estranei, ma non di chi la circonda, inizia ad aprire gli occhi. «È solo il contesto che cambia, ero felice anche quando ero commessa», prova a giustificarsi ma non viene creduta da Karine che le rimprovera di aver perso la sua insicurezza: «Ora hai fiducia in te stessa, hai sfondato», riconoscendo la sua personale sconfitta dopo averle provate tutto («Mi hai messa a terra. Hai vinto»). La scena finale al ristorante al momento della scelta del dolce è lì a confermare che Léa è rimasta se stessa. O, per meglio dire, è rimasta sostanzialmente se stessa: l’île flottante non è più il suo dolce preferito, il millefoglie che prima detestava, ha preso il suo posto. Piccoli slittamenti di gusto che la dicono lunga sul cambiamento.