L’anno che verrà di Grand Corps Malade e la battaglia per la conoscenza

Il mondo della scuola ha da sempre ispirato il cinema, in particolare quello d’oltralpe che ha prodotto capolavori come La classe. Entre les murs (2008) di Laurent Cantet, per citare il più celebre e premiato. Allo stesso modo la banlieue è stata fonte di ispirazione, producendo film rimasti nella memoria da L’odio (La haine, 1995) di Mathieu Kassovitz al recente Les misérables (2019) di Ladj Ly. Il binomio scuola e periferia in Francia è stato particolarmente sfruttato, pensiamo a Les héritiers. Una volta nella vita (2014) di Fabien Lemercier, o al bellissimo documentario A voce alta – La forza della parola (À voix haute, 2016) di Stéphane de Freitas e Ladj Ly. All’interno di questo filone si aggiunge ora L’anno che verrà che sceglie di adottare un punto di vista inedito ovvero quello di un personaggio che per la natura stessa del suo lavoro è un mediatore. Samia (Zita Hanrot) giovane CPE (ovvero Conseiller Principal d’Éducation, in Italia non esiste un corrispettivo, ma potrebbe essere associato a una sorta di vicepreside, ovvero la persona che dovrebbe fare da mediatore tra alunni, insegnanti, commessi, famiglie e amministrazione) sbarca, per ragioni personali, dall’idilliaco dipartimento dell’Ardèche in una scuola media di Seine-Saint-Denis, in banlieue parigina (stessa ambientazione di A voce alta). In quella che noi chiameremmo una scuola di frontiera i problemi sono all’ordine del giorno: a partire dalla disciplina che riguarda i ragazzi, ma anche i sorveglianti, passando per la demotivazione dei docenti, per arrivare a una realtà sociale a dir poco complessa. Tra alunni mitomani che inventano giustificazioni elaboratissime (e divertentissime), situazioni di degrado familiare, lusinghe per ottenere soldi facili con commerci illeciti, abbandono scolastico e bocciature reiterate, Samia cerca di resistere.

 

 

L’opera seconda di Grand Corps Malade (nome d’arte di Fabien Marsaud, slameur di grande successo in Francia, poeta e musicista di cui a settembre esce il nuovo album) e Mehdi Idir, come già il loro primo film Patients, inedito in Italia, prevede l’inserimento di un elemento esterno in un ambiente ostile: all’inizio Samia sembra un’extraterrestre capitata in un mondo che non conosce e in cui non sa come muoversi. Quando inizia a relazionarsi in maniera più profonda con gli altri, scopre lati inaspettati in alunni e colleghi – come l’impegno e l’ascolto del professore di matematica (Soufiane Guerrab) o le potenzialità di Yanis (Liam Pierron), un adolescente con cui ha parecchie cose in comune. E naturalmente conoscendo gli altri finisce per conoscere meglio anche se stessa. Da questo punto di vista il falso piano sequenza della festa è illuminante: le feste a cui stiamo assistendo in realtà sono due, quella degli alunni e quella degli insegnanti, ma siamo indotti a credere che sia la stessa perché si balla, si beve e ci si diverte con le stesse modalità come a sottolineare che non si è poi così diversi e soprattutto che si è dallo stesso lato della barricata.

 


Grand Corps Malade e Idir dimostrano di essersi appropriati della lezione di Ken Loach, che citano come modello, realizzando un film corale che riesce a essere contemporaneamente spaccato della società e a porre più di una questione politica (come sempre dovrebbe succedere quando si parla di Istruzione), ma senza voler dare una risposta preconfezionata, anzi sottolineando le assurdità del sistema scolastico (come l’idea di raggruppare in un’unica classe ghetto i SOP, alunni “Sans options” ovvero con debiti formativi e senza prospettive per il loro futuro). In un’intervista GCM ha dichiarato: «Sta al critico giudicare se si tratta di un film sociale o politico. Noi non ci chiediamo in che casella rientri. È evidente che c’è una dimensione politica quando si parla di un quartiere popolare e si fanno domande su come l’educazione nazionale riesca ad agire in un quartiere come questo. Cerchiamo di raccontare delle vite che esistono, di avvicinarci il più possibile alla realtà. Capita che nella realtà ci sia spesso una dimensione politica». Come già per il loro primo lavoro sono partiti da ricordi personali o da racconti di conoscenti e se il titolo originale, La vie scolaire, fa riferimento a un percorso, una tranche de vie, quella scolastica appunto, fondamentale per la formazione dell’individuo, in italiano si è optato per un titolo che punta più sul risultato, sottolineando che «il futuro è tra i banchi di scuola». La canzone Je viens de là di GCM inserita nella colonna sonora ribadisce che se non si può scegliere il luogo in cui si nasce meglio vale trasformare in identità e orgoglio la diversità: «Si je rends hommage à ces lieux, à chaque expiration / c’est que c’est ici que j’ai puisé toute mon inspiration». E La vie scolaire è permeato di questo respiro che diventa forza vitale.