L’astratta solitudine del pensiero in The Walk, di Giovanni Maderna

E’ un continuo passare fra tutte le possibilità di una mente umana e un continuo sentire fra tutte le possibilità di un cervello umano e un continuo essere trascinati di qua e di là fra tutte le possibilità di un carattere umano.

Thomas Bernhard, Camminare, 1971

 

La passeggiata è un quasi sconosciuto racconto del quasi altrettanto sconosciuto Robert Walser, autore svizzero che solo da qualche anno in qua, grazie alla scoperta di Roberto Calasso che lo pubblicò in Adelphi, ha avuto qualche notorietà nel già non troppo nutrito popolo dei lettori. Giovanni Maderna e Stanley Schtinter in fase di scrittura si ispirano con abbondanza di particolari al testo originale e affidano al volto cubista di Lino Musella – sempre più addentro al cinema di ricerca e di introspezione – il ruolo del protagonista che, svegliandosi dopo un leggero sonno, forse pomeridiano, sente l’impellente bisogno di uscire a fare una passeggiata. L’animo è quello nuovo di chi sembra vedere la città, Roma, per la prima volta e, come il protagonista del racconto, sente su di sé un po’ di imbarazzo davanti alla gente che lavora quando lui, invece, si dedica solo ad una passeggiata. Il film di Maderna diventa non solo il racconto ottimista di un attento e riflessivo passeggiatore, ma anche l’occasione per uno sguardo sulla città. Le immagini ci immergono nella Roma più classica e labirintica, dentro i quartieri popolari straniati dal turismo che giocoforza modifica i loro tratti originari, ingombra con l’offerta commerciale le vie e gli incroci assediati da ristoranti e pizzerie, ma questo scenario, vero fondale del protagonista in primo piano seguito dalla macchina a mano, diventa anche l’occasione per trasferire un altro senso di straniamento, il riconoscibile spopolamento dovuto alla pandemia dentro il quale il nostro camminatore sviluppa quella sua rinnovata forma di percezione, di sguardo, di osservazione ma tutto avviene in una relazione silenziosa, in un muto dialogo con lo spettatore.

 

Maderna lavora abilmente su questo tema del camminare, come declinazione e stimolazione del ragionamento, sebbene qui mutuato da Walser con un lavoro di attualizzazione, appartiene per una naturale discendenza da tutta la letteratura di area tedesca, a partire da Thomas Bernhard per arrivare a Peter Handke, senza dimenticare il già citato Walser. Non da ultimo anche a quel territorio tra cinema e scrittura di cui ad esempio è stato protagonista il visionario Werner Herzog, instancabile camminatore che per salvare una sua amica da una grave malattia ha percorso, come in uno dei suoi film dalle imprese impossibili, la strada tra Monaco e Parigi raccontando la sua avventura in Sentieri di ghiaccio, libro che rievoca anche i sentimenti che ispirarono l’audace impresa. Il camminare diventa la modalità del pensiero e l’atto dell’attraversare il mondo a piedi, sospinti da nessuna legge, ma soltanto dalla quasi irrazionale improvvisazione, la metafora del ragionamento come ripetizione dell’interpretazione del mondo. La conferma ci viene proprio dalla frase dello stesso Robert Walser posta in epigrafe al film: Camminare io devo assolutamente, per rinvigorirmi e per mantenere il contatto con il mondo. (…) Senza camminare sarei morto. Maderna non si discosta troppo da questa concezione che contiene un approccio ovviamente anche filosofico alla vita e alle cose del mondo, risolvendosi il cammino in una soluzione ad una crisi o ad una specie di purificazione dalle invisibili scorie del quotidiano. Una funzione che d’altra parte appartiene anche al puro atto del camminare o che si ritrova nell’idea affine alla concezione religiosa di espiazione che contiene in sé il pellegrinaggio verso il Santuario di Santiago di Compostela.

 

 

Nell’ultima parte del film si fa ancora più forte l’idea che, insieme al desiderio di mettere in scena la riduzione dell’opera di Walser, vi sia anche il desiderio di offrire una specie di mappatura pensata della città. Roma, le sue strade, l’acciottolato, il bello e il cattivo tempo che gettano luci differenti sui luoghi, diventano l’ambiente naturale dentro il quale si sviluppa la solitudine astratta del nostro camminatore, una solitudine accompagnata solo dal fluire dei pensieri. È così che si fa strada l’idea che forse il tema del film è dunque anche altro e il silenzio sembra riuscire a meglio definire ciò che sembra venire in superficie. È proprio la continuità tra l’atto del puro camminare e la riflessione che ne deriva che favorisce il formarsi del ragionamento ed è in quella stessa continuità che, in una quasi magia cinematografica, in cui il silenzio delle immagini e l’instancabile cammino del protagonista sempre più lontano dal raggiungimento di una meta e sempre più (quasi) ideale se non teorico il suo passeggiare, avviene la definitiva sovrapposizione che diventa approccio identificativo con il protagonista. Il tragitto della passeggiata con la sua finale metaforica ascesa, la stretta relazione con il flusso dei pensieri, ci hanno fatto dimenticare ogni sviluppo narrativo e ogni altra possibilità di progresso nel racconto. Il piacevole silenzio, rotto dal rumoreggiare della città, ha dato sfogo a quel flusso naturale di coscienza sintomo del pensiero, che – finalmente compendiamo – è il vero protagonista della narrazione e le immagini del cinema, del film hanno saputo farlo emergere in quella sua invisibile bellezza.

 

Questa sera, martedì 25 al Cinemino di Milano (alle ore 21), Giovanni Maderna dialogherà con Michelangelo Frammartino.