L’epica dei sentimenti: Dracula – L’amore perduto, di Luc Besson

In una carriera continuamente protesa alla ricerca della vertigine e alla rielaborazione delle forme classiche, era in qualche modo fatale che infine Luc Besson approdasse a un grande archetipo come Dracula. Outsider per antonomasia, respinto dalla Chiesa e dalla vita, il principe Vlad è l’antieroe perfetto per l’ennesimo opus bessoniano, con la sua esigenza di grandiosità che pure si rispecchia in dinamiche intime e “piccole”. A tenere banco non sono più dunque le lotte epiche contro il professor Van Helsing (qui sostituito dal più comune prete di Christoph Waltz) o villaggi tenuti sotto scacco dall’orrore, ma unicamente un desiderio di ritrovare l’amore perduto lungo i secoli, che consuma il guerriero ormai diventato vampiro, ma non lo fa recedere dalla sua missione fino ai giorni a noi più vicini (l’ambientazione principale si colloca comunque un secolo fa). Il modello di riferimento è chiaramente il Dracula di Francis Ford Coppola, di cui la versione bessoniana è una volgarizzazione – nel senso più specifico di versione “popolaresca” – molto diretta nel ritrarre un personaggio ossessivo, nelle cui velleità probabilmente l’autore si rispecchia e riconosce. Laddove Coppola usava il vampiro per un discorso più raffinato sulla sostanza vampiresca delle immagini e del cinema, Besson mira a uno spettacolo più sfarzoso/farsesco in cui le referenze cinefile (da Kurosawa a Ken Russell nella scena scult delle suore) non deviano mai da una rappresentazione dell’amore come motore dinamico delle azioni larger than life (…than death?) del personaggio.

 

 
Il sospetto è quello di una prospettiva carnacialesca sul mito, magari ossequiosa di un’epoca più urlata come la nostra, quasi come fosse un Dracula influencer che deve esibire sé stesso e i suoi sentimenti di fronte al mondo, in un perenne dispendio di energie e epica grandeur – che non a caso producono un eccellente risultato di pubblico, dove il film non solo incassa al botteghino, ma piace anche molto. A Besson va comunque riconosciuta una sincerità ormai radicata nella sua filmografia, è un uomo che crede in ciò che fa e l’oscillazione sul perenne filo del ridicolo del suo principe dei vampiri mantiene l’equilibrio grazie al rinnovato sodalizio con Caleb Landry Jones, già anti-eroe Dogman e ora perfetto per esprimere lo strazio dell’innamorato perduto nel gorgo di un sentimento che non riesce a trovare il suo sfogo. Il suo Dracula più forte del tempo è perciò icona di un cinema ancora una volta autosufficiente sebbene derivativo, in virtù di un credere nei propri mezzi che di fatto lo eleva ad autentico motore di tutto: è lui a predire/temere la morte della moglie, a ripudiare la Croce per cui aveva combattuto, a cercare nel tempo e infine a porre fine alla missione nel segno del sacrificio d’amore. Tutti gli altri personaggi, come gli spettatori, sono solo invitati al suo spettacolo di passione e sangue: il cinema di Luc Besson ancora una volta è servito.