È nel brodo di giuggiole della commedia e in quel canovaccio grezzo dapprima di grossolana tessitura che si raffina man mano che il lavoro interiore tra trame e ordito si fa più fitto. Il film di Nicolas Bedos sembra trovare così un suo progressivo interesse, un climax narrativo sull’onda di una ininterrotta introduzione di elementi che, come ingredienti ben dosati, sanno fare lievitare il racconto offrendo l’ulteriore atteggiarsi di temi narrativi comuni a ogni commedia, come l’amore e la seduzione, la passione e il tradimento, la fiducia e il sospetto. Bedos calibra le sue materie prime e con una schiera di attori di solido mestiere, compresi i due protagonisti più giovani, mette sul piatto un film che sa divertire pur senza molto inventare, ma affidandosi a una ricetta antica in cui diventa determinante il ritmo dentro il quale si sviluppa la concatenazione degli eventi che fa da architettura del racconto. Tutto questo lo aveva capito Billy Wilder, lo ha capito Woody Allen e molti altri geniali autori che attraverso questa intesa hanno saputo costruire strette e forti relazioni con il pubblico. Bedos è sulla buona strada e senza ancora raggiungere le vette del cinema inventato da quei maestri, la sua commedia, un po’ noir e po’ degli equivoci, non sfigura in un ipotetico elenco che annoveri le migliori commedie degli ultimi cinque o dieci anni.
Masquerade con questa sua natura di ibrido equilibrio sa giocare con il vero e con il falso, mostrando il gioco di apparenze e realtà ingannatrici, raggirando lo spettatore, mostrando il vero attraverso l’apparire del falso. Su queste già concepite coordinate si muove Masquerade (farsa secondo la traduzione letterale), fondandosi su due baricentri in perfetto equilibrio tra di loro: da una parte un’architettura dalla trama complessa, tanto quanti sono i personaggi coinvolti, e dall’altra il consueto meccanismo delle scatole cinesi con una raffica di colpi di scena, di trame sospese, di dettagli sfuggenti, essenziali alla soluzione del complicato rebus che Bedos ci propone e che il frammentato processo giudiziario al quale assistiamo dovrà, ancora una volta, risolvere, svelando, forse definitivamente, il vero di ogni personaggio.
Al centro c’è la macchinazione dei due protagonisti Margot (Marine Vacth) e Adrien (Pierre Niney) occasionali conoscenti, che, da spiantati quali sono, sebbene frequentatori dell’alta borghesia della paradigmatica Costa Azzurra, sono dotati di uno spirito inventivo, della bellezza e della gioventù che li accompagna e di una dose di ineguagliabile spregiudicatezza nelle relazioni. I due giovani e segreti amanti architettano un piano per spillare soldi ai più anziani e danarosi partner, in realtà disprezzati o del tutto occasionali, Martha (Isabelle Adjani), che convive con il giovane Adrien, e Simon (François Cluzet), immobiliarista di successo sposato con Carole (Emmannuelle Devos), amante di Margot. Un gioco di veri o falsi innamoramenti, un affare milionario ad Antibes, una vicenda di quadri forse falsi e vite segrete da mantenere invisibili sono tra gli elementi che fanno da sfondo alla messa in scena. Tira le fila, nell’ombra, una alquanto sottilmente perfida e vendicativa Giulia (Laura Morante), che da proprietaria ricca e rispettata di un grande albergo sulla Costa Azzurra, è diventata tanto povera da non potersi più permettere di frequentare quello che era il suo albergo.
Masquerade, sullo sfondo della evocativa Costa Azzurra, letterariamente e cinematograficamente votata agli intrighi e agli amore, ai soldi, alle belle donne e agli uomini di fascino e successo, si muove in questo labirinto di sentimenti falsi o fintamente veri, si fa strada dentro una intricata rete di amori falliti e di veri amori mai concretizzati, diventa cronaca a tratti vera a tratti bugiarda di una classe sociale che merita le altrui vendette e diventa vera cronaca di un’altra classe sociale un po’ parassita che non merita i premi che riceve dalla vita. Un film che galleggia in quella piacevole brezza che porta con sé ora il vero e ora il falso e dove l’apparenza della verità, come in ogni buona commedia, finisce con l’essere solo la sua brillante imitazione, ma senza valore. È così che Masquerade, con quel suo strizzare l’occhio alle solide commedie soderberghiane dalle quali mutua l’inventiva della costruzione delle apparenze ingannatrici, sa tenere desta l’attenzione dello spettatore, mettendo a fuoco una mole talmente cospicua di materiali, da potere diventare, a sua volta, soggetto per una serialità televisiva ricca di personaggi, tutti maledettamente inaffidabili, tutti più o meno bugiardi nella vita passata o in quella presente, tutti ipocriti e tutti interessati soltanto al denaro fregandosene di ogni apparenza e ogni sensibilità. Il femminile vincerà ancora una volta sul maschile e in questo clima tutto si accomoderà, come sempre, e ogni personaggio, finita la messa in scena rioccuperà tranquillamente il proprio posto nel mondo, dettando la fine di ogni caos e forse di ogni bugia.