Nel vento dell’esilio: Yunan di Ameer Fakher Eldin

Residente in Germania, ucraino di nascita (Kiev) ma figlio di genitori siriani fuggiti dalle Alture del Golan occupate: il 34enne Ameer Fakher Eldin porta i segni di chi esiste fuori dai confini della propria coscienza, radicato in una identità profondamente interlocutoria rispetto al rapporto tra il vivere e il sopravvivere. L’ansia e gli attacchi di panico di cui soffre Munir, lo scrittore protagonista di questo suo secondo film, Yunan, proiettano sullo schermo un sentimento che molto probabilmente appartiene al regista profondamente. Nutrito da una poesia resa opaca dal sentimento greve del tempo vissuto, il film giunge sugli schermi dopo la prima mondiale nel Concorso della Berlinale 2025: coprodotto anche dall’Italia (Fandango), Yunan cerca una chiave d’accesso alla solitudine passando per la drammatica attualità del presente. Il senso di oppressione del protagonista, Munir, ha un valore evidentemente simbolico: esule in Germania, tiene i contatti con l’anziana madre malata che vive in Siria, ma non sembra avere più forza per continuare a resistere. Il viaggio che intraprende verso le fredde isole alluvionali del Mare del Nord nasce come ricerca di una via d’uscita alla sua crisi creativa ed esistenziale, ma ben presto si configura come un punto d’arrivo estremo.

 

 
Se non fosse per la sponda umana che trova nella cordialità un po’ distaccata, ma sostanzialmente empatica, della anziana proprietaria dell’hotel, interpretata da una Hannah Shygulla che incide con carisma e rude simpatia la scena. Senza prenotazione e costretto a occupare una casa isolata, Munir lascia che la sua solitudine dialoghi con la rassegnata stanchezza della donna, che vive assieme al figlio su un’isola assediata da una natura che distrugge e rigenera seguendo cicli di vita e morte eterni. Il contrappunto offerto dalle scene in cui il regista ricostruisce gli eventi legati alla fiaba narrata al telefono dalla madre del protagonista (quella di un pastore sordo cieco e muto che vive con la sua sposa e riceve la visita di uno sconosciuto) si configura come una deriva lirica che cristallizza la metafora dell’ospite inatteso di cui ci si prende cura, spingendo Yunan verso un tono lirico che interpola con enfasi la narrazione del dramma esistenziale dello scrittore esule. Gli argomenti di cui il film si occupa nella sua forma ponderata e profonda sono quelli di una umanità che vive la propria esistenza in esilio perenne. Dopo l’esordio di The Stranger (premiato alle Giornate degli Autori di Venezia 2021), con Yunan Ameer Fakher Eldin compone il secondo capitolo della sua trilogia intitolata “Homeland”. Il tono poetico cerca le altezze liriche di maestri come Angelopoulos e Tarkovskij e fa sentire l’impostazione lirica che soggiace a quella urgenza e sincerità che chiedono e comunque ottengono considerazione e partecipazione.