Quando nel 2009 viene messo all’asta l’intero archivio di Dario Bellezza, che all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso Pier Paolo Pasolini ha consacrato «miglior poeta della nuova generazione», nessuna istituzione partecipa all’asta, che va deserta, e l’archivio personale del poeta viene acquistato dal collezionista Giuseppe Garrera in una trattativa diretta con il libraio che lo possedeva. Basterebbe questo aneddoto a darci la misura di quanto Bellezza sia finito nel dimenticatoio delle istituzioni di un Paese che prova imbarazzo o peggio ancora fastidio nell’assegnare, all’interno del canone della letteratura italiana del Novecento (per intenderci la sequenza degli autori che si trovano nelle storie letterarie e nelle antologie scolastiche), un posto ad autori omosessuali come il nostro, ma anche come Carlo Coccioli, Giovanni Comisso, Giuseppe Patroni Griffi, Furio Monicelli ecc., non diversamente da quello che succede a tante autrici dello stesso periodo.
Insomma, pare che la letteratura italiana contemporanea debba essere raccontata come appannaggio quasi esclusivo di maschi eterosessuali. Fanno eccezione una manciata di donne, la solita imbarazzante forzata quota rosa, e Pasolini, il cui barbaro omicidio ricorda a quelle istituzioni dove può arrivare il fascismo strisciante che custodiscono gelosamente nella loro pancia: insomma poche voci anti-sistema fagocitate dal vocione tonitruante del sistema. In quest’ottica si capisce bene come Bellezza, che con Lettere da Sodoma (1972) diede forma a un racconto spudorato del sottomondo omosessuale dell’epoca, fatto di repressione, autocolpevolizzazione, battuage, prostituzione ecc., il mondo tormentato di una generazione nata cattolica, cresciuta comunista e falciata dalla piaga dell’Aids, non sia certo candidabile a entrare silenziosamente nel canone di cui sopra.
Lo stesso aneddoto dell’asta basta a farci capire l’importanza di Bellezza, addio, il nuovo film documentario scritto e diretto da Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, dedicato proprio a Dario Bellezza, prodotto da Zivago Film e Luce Cinecittà, presentato in anteprima mondiale il 20 giugno alla 59ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, dove i due registi hanno già trionfato nel 2020 con Il caso Braibanti, altro gioiello cui va il merito di avere rispolverato uno dei casi di cronaca giudiziaria fascistoide e omofoba più orrendi del secolo scorso. Tante le voci che animano Bellezza, addio. Prima di tutto chi Bellezza lo ha conosciuto e frequentato da vivo, come Barbara Alberti, Antonella Amendola, Ulisse Benedetti, Franco Cordelli, Ninetto Davoli, Maurizio Gregorini, Fiammetta Jori, Renzo Paris, Elio Pecora, Paco Reconti e Nichi Vendola, che, grazie a un montaggio attento quanto delicato, quintessenza dell’ascolto che dovrebbe sempre animare documentari come questo, danno forma coralmente all’affresco umorale e intenso di un’epoca ormai tramontata e a rischio di oblio, impreziosito dall’accompagnamento musicale discreto e allo stesso tempo accorato di Pivio e Aldo De Scalzi.
Ma soprattutto la voce di Garrera, che ci restituisce delle piccole folgorazioni sull’identità e sulla vita del poeta. Prima fra tutte una fotografia, gelosamente custodita da Bellezza, che lo ritrae giovane in posa malinconica e manierata, nel retro della quale lui stesso ha dattiloscritto una sorta di autoritratto a parole o meglio un’auto-invettiva (genere che amava molto: Invettive e licenze è il titolo della sua raccolta poetica d’esordio, del 1971): «Questo è un pezzo di Merda, fesso, idiota, figlio di mignotta, stronzo, paraculo, scemo, vestito di marrone, cretino, scemunito, rompi cazzo». Invettiva che, commenta Garrera, «se ci pensiamo è il bagaglio di maldicenza comune che noi colleghiamo a Dario Bellezza», che in vita fu assai polemico con tanti suoi colleghi (si ricordi la colossale lite televisiva del 1986 con Aldo Busi, che Bellezza non esitò ad apostrofare «puttana») e bersaglio di altrettante polemiche, da parte di colleghi (si pensi all’amata-odiata Elsa Morante) e della stampa.
Si pensi in particolare al riprovevole scoop giornalistico che nel 1995, raccontando di un’incursione dei carabinieri nello studio di Giuseppe Marineo, un progettista elettronico che dichiarava di avere inventato una terapia miracolosa per l’Aids a base di onde elettromagnetiche, rivela all’Italia che Bellezza è sieropositivo, rendendolo, in quanto personaggio popolare (era spesso ospite del Maurizio Costanzo Show), facile bersaglio di conoscenti e sconosciuti, che lo additano come un appestato. Bellezza, addio è prezioso anche per questo: mentre offre a una nuova memoria la bellezza (mi si perdoni il facile gioco di parole) dei versi di un poeta dimenticato, rinnova anche la memoria irritante dello stigma che sotto mentite spoglie (spesso quelle della battuta condiscendente e della pacca sulla spalla) continua ad affliggere gli omosessuali in questo Paese e quella dolorosissima dello stigma che, nonostante i progressi rassicuranti della medicina, non ha mai smesso di gravare sulle persone sieropositive.
Foto di Dino Ignani