Of mice and witches… Le streghe secondo Robert Zemeckis

La questione della differenza e la strategia delle dimensioni: potremmo anche vedere Le streghe di Robert Zemeckis come la versione per l’infanzia dell’universo di Mark Hogancamp, raccontato dal regista in Benvenuti a Marwen. Solo che lo scarto tra la spaventosa protervia del mondo adulto e l’armonia dell’infanzia lavora qui sulla dimensione fantasy vera e propria, invece che su quella della fantasia di un adulto poco adatto alla realtà. Ma il cinema di Zemeckis, lo sappiamo, è un sistema di inversione, in cui corpi e simulacri sono interscambiabili, così come lo sono la realtà e la soggettività. Sicché eccolo alle prese con il classico di Roald Dahl, per raccontare la storia di un bambino nero che, nell’Alabama di fine anni ’60, viene allevato dalla nonna (Octavia Spencer) nel sacro timore per le orride streghe, che pervadono il mondo in cerca di bimbi da perseguitare. Il setting pienamente fantasy fa da base a quella poetica della visione differente delle cose che è fondamentale nel cinema zemeckisiano, l’esigenza di una radicale sovversione delle prospettive, che trova i suoi eroi diversamente equilibrati in figure (persino reali) come il pilota Whip Whitaker (Flight), il funambolo Philippe Petit (The Walk) o appunto il fotografo Mark Hogancamp (Benvenuti a Marwen). Qui il mondo dell’eroico ragazzino senza nome destinato a combattere le streghe che lo hanno trasformato in topo, corrisponde all’inversione fantasy di una realtà dissociata da sovvertire: risvegliatosi a testa in giù (come il pilota di Flight…) al termine di un’infanzia dorata che lo lascia orfano tra le braccia della nonna, questo ragazzino dovrà prendere le misure per stare in equilibrio tra un mondo minaccioso popolato da adulti/streghe e la sfera fantastica, eppure reale, in cui lo cala la narrazione della nonna, che dipinge per lui un universo di magia e di pericoli, fatto di metamorfosi, sparizioni, persecuzioni, ma anche di felicità e inclusione.

 

 

Zemeckis desume insomma dalla fiaba di Roald Dahl quello scavalcamento di campo che gli permette di collocarsi pienamente nella dimensione astratta della fantasia, accedendo a un universo in cui i rapporti dimensionali (grande/piccolo, giovane/vecchio, reale/immaginario) sono livellati e la sfera relazionale si costruisce esclusivamente sulla fiducia (altro elemento decisamente zemeckisiano), ovvero sulla capacità di credere nella visione dell’altro. Ecco dunque che Le streghe scorre con una immediatezza fantastica che ha una sua cifra del tutto particolare, perché insiste su una dimensione inclusiva rispetto alla differenza tra realtà e immaginazione. Una struttura che risulta rassicurante, anche perché disinnesca nell’ironia lo scarto tra l’odio della strega madre (una performativa Anne Hathaway) e l’amore della nonna. In questo, il coté messicano del progetto portato dai produttori Alfonso Cuaron e Guillermo del Toro (che firma anche la sceneggiatura) deve aver avuto il suo peso, anche perché bisognava marcare il passo rispetto a un precedente non trascurabile: la versione girata vent’anni fa dal grande Nicolas Roeg (Chi ha paura delle streghe? ), che invece si nutriva di umori da british renaissance e mostrava una spigolosità molto più marcata nel rapporto tra la dimensione reale e quella fantastica della storia immaginata da Roald Dahl.

 

Le Streghe di Robert Zemeckis è disponibile in streaming a pagamento. Su Google Play, Timvision, Infinity e altre piattaforme.