Enya Baroux, al primo lungometraggio da regista, dedica Buon viaggio, Marie a sua nonna, scomparsa anni fa, e a questa figura si ispira nella scrittura – cui partecipano anche Philippe Barrière e Martin Darondeau – della protagonista, conferendo al dolore, al lutto famigliare, alla perdita e all’infranto, direzioni nuove, torsioni emotive, forse un respiro, differenti. Le traiettorie di montaggio in avvio scaldano già motori e umori del racconto: pochi elementi, ma sufficientemente ed efficacemente essenziali per restituire un tutto accessibile a mente e cuore spettatoriali, nel segno di una trasparenza semplice ma non ovvia, men che meno ricattatoria. Perché, se gli schemi del road movie e della commedia sono saldi e rispettati, se le infrazioni di canone e di senso restano a guardare, la regia ha la dolce onestà di affidarsi con devota dedizione al gioco degli attori e alle loro briose ricamature psicologiche ed esistenziali di personaggi che calzano bene schermaglie e inganni, frustrazioni e immaturità, ingenuità e consapevolezze. Baroux, classe 1991, accarezza l’emotività di questi suoi personaggi, il loro sentimento, le paure e i non detti, rincorre pazientemente i caratteri, calibra con le giuste proporzioni gli spazi di ciascuno, cerca con divertito pudore un insieme nutrito dalle singole individualità. E l’affresco, in questo film, riesce, la leggerezza e il dramma convivono agevolmente, il viaggio, come regola vuole, appartiene a tutti e cambia le cose, il loro mondo, il loro essere in quel mondo.

Un film sul fine vita? Sì, ma soprattutto – come commenta Hélène Vincent, che interpreta con naturale candore, distante da quella gabbia stretta stretta della grazia attoriale, l’anziana protagonista – su «un atto di vita». Quello dell’ottantenne Marie, preda di un impietoso tumore che la sta divorando e che la porta alla decisione di porre fine a sofferenze e ulteriori cure. Ha scelto di morire, ma per farlo dalla Francia dovrà raggiungere la Svizzera. La accompagneranno in camper suo figlio Bruno (David Ayala) e sua nipote Anna (Juliette Gasquet), totalmente ignari però delle reali ragioni del viaggio e dello stato di salute della donna, convinti invece dall’anziana che la trasferta sia motivata da una vecchia eredità che attende tutti e tre. Con loro, anche l’assistente sanitario Rudy (Pierre Lottin), sin dall’inizio a conoscenza della verità e suo malgrado coinvolto nella farsa. Buon viaggio, Marie (titolo che non riesce a eguagliare la puntuale esattezza dell’originale On Ira), allora, può scorrere morbidamente lungo i binari dell’equivoco e dell’imprevisto, del gioco e della malinconia, della deviazione e della rivelazione, tra un fido ratto che si converte all’infedeltà, mestruazioni da nascondere, partite di bowling bruscamente interrotte, meravigliose solidarietà gitane, improponibili furgoni, lutti e memorie da consegnare a un fuoco amico. Un film necessario? No, molto meglio: una lieve, toccante e divertente ballata sulla dignità dell’essere umano come verità tra le pochissime oggi rimaste.


