Come faceva Luciano Emmer su Giotto, Piero della Francesca, Goya. Lo ha detto chiaramente, Mario Martone, che il suo film su Massimo Troisi lo voleva fare come se stesse facendo un film su un artista del 400. E infatti Laggiù qualcuno mi ama (alla Berlinale 73 nella sezione Special) è nato nel momento in cui quel progetto di film di finzione su Troisi, da lui rifiutato (“Proprio non riuscivo a immaginare un altro attore che interpretava Massimo”) è diventato il progetto di un documentario. Il titolo gliel’ha dato Anna Pavignano, generosissima e vitale (nel senso che ci mette il soffio della vita) per questo ritratto troisiano nato un po’ come risarcimento per quel film di Martone da fare con Troisi che era nell’aria, se il tempo dell’attore sulla terra non fosse giunto a termine prima. Del resto, Laggiù qualcuno mi ama è un’opera che proprio rifugge dalla nostalgia, dal rimpianto, anzi ha un qualcosa di fortemente materico, immanente, reale, che nasce proprio dallo studio di Troisi, del suo fare cinema e del suo filmare. Sarà che Martone e Jacopo Quadri al tavolo di montaggio si vedono più volte o che tutto l’apparato rievocativo è affidato a chi lo ha studiato e lo ha capito in vita, e non a chi ci aveva lavorato (niente Lello Arena o Enzo Decaro, se non nelle loro magnifiche smorfie d’archivio…). Anna Pavignano, ovviamente, è un discorso a parte, perché lei è un po’ lo spirito giuda di Martone, come forse lo è stata di Troisi… A lei si devono quei foglietti che svolazzano nel film, preziosissimi coi loro appunti di vita troisiana in risonanza diretta nelle sceneggiature, nelle battute, nelle situazioni.
E poi l’agenda e soprattutto le poesie di Troisi, bellissime, che Martone fa interpretare in voce off a Toni Servillo, Silvio Orlando, Massimiliano Gallo e poi Mastandrea, Favino… Questo è un film in cui Anna Pavignano sta a Martone con la stessa serenità e lucidità con cui Martone sta a Troisi: l’obiettivo è dire l’arte di questo grande interprete e regista. Dirla e vederla: le scene scorrono sullo schermo, Martone le osserva e le commenta, studia i movimenti di macchina, le inquadrature, i gesti. Viene fuori per esempio la gestualità troisiana, quel suo sfiorarsi il sopracciglio o la nuca nei momenti di imbarazzo, quasi a creare un linguaggio del corpo col quale comunicare agli spettatori i suoi stati d’animo mentre innescava quella sua famosa afasia dell’incertezza, il dire sospeso sull’attesa della correzione. Che è un po’ il corrispettivo gergale e fisico del gesto filmico con cui Troisi (si) teneva fuori campo nei momenti chiave, sceglieva l’inquadratura che lo riprende di spalle mentre si confessa al citofono, lo nasconde dietro una colonna quando si alza dalla sedia a rotelle…
Tutte osservazioni che Martone mette in campo con attenzione, mentre critici e studiosi (Fofi, Chiacchiari e Salvi di Sentieri Selvaggi, Francesco Piccolo) creano una cornice storica e argomentativa. E altri artisti che hanno seguito Troisi si confrontano con la sua memoria, Ficarra e Picone e anche Paolo Sorrentino, che dichiara tutta la sua ammirazione per il suo cinema. Laggiù qualcuno mi ama materializza insomma un tema troisiano concreto, dà forma a una poetica ma anche a una linea caratteriale: il parallelo con la Nouvelle Vague, con i suoi personaggi frenetici ma anche incerti nei loro travolgenti amori, l’insicurezza dell’innamoramento, l’insistenza sul tema della morte, la modernità assoluta delle figure femminili… Insomma Martone riporta Troisi quaggiù: è qui nella realtà che ce lo fa amare di nuovo. Effetto speciale: voglia di rivedere tutti i suoi film, subito…
Dopo la prima mondiale alla Berlinale 73, il film sarà nelle sale dal 19 febbraio con anteprime in alcune città in occasione del 70° anniversario della nascita di Massimo Troisi e in tutta Italia dal 23 febbraio