Arriva un momento nella vita in cui si è costretti a fare i conti con la propria natura umana, fatta di memoria e identità, sangue e dolore. Stretta in questa morsa che non lascia scampo alle illusioni, la giovane Dafne si trova costretta a riguardare la propria storia di giovane figlia e donna, condizioni da scoprire e comprendere per quello che sono, nonostante una realtà difforme e sfuggente confonda ogni convinzione. La protagonista del secondo lungometraggio del turco Çağil Bocut è così al centro di un viaggio esistenziale caratterizzato da rinunce e rivelazioni sconcertanti, attimi folgoranti di verità che sgretolano rapidamente tutte le piccole sicurezze fino a quel momento tenute insieme dalla volontà di andare avanti, crescere, diventare grande, ma consapevole che non sia più sufficiente la scelta individuale per poter dare alla propria esistenza una forma, una direzione, un senso, un fine.
Sardunya (Geranium) è un film attento a indagare i piccoli passi affrontati da Dafne per entrare nell’età adulta ma anche capace di scovare, con discrezione e intensità, le inquietudini e le tensioni che la ragazza accumula nel corso della dura prova che deve affrontare una volta rientrata nella propria casa e riallacciata la relazione con il padre. Racconto di formazione sul fine e sulla fine ma pure torbido dramma famigliare mai esattamente collocabile in un universo di genere prestabilito e ordinato, Sardunya è un film in grado di stringere con lo spettatore un rapporto trasparente, dichiarato in modo esplicito dalla prima sequenza: nel bel mezzo dell’esame di guida per la patente, Dafne viene raggiunta da una telefonata in cui le comunicano che il padre ha appena avuto un ictus. Un’interruzione che assume un valore simbolico e, in un certo senso, premonitore perché lei vorrebbe andare in una certa direzione ma dovrà svoltare per farsi carico della famiglia. Infatti, lasciare Istanbul e seguire la convalescenza del padre non è semplicemente la conseguenza di un imprevisto ma la condizione di drammatica precarietà che riguarda Dafne e la fase della vita che sta attraversando, è l’opportunità che le si pone davanti agli occhi per diventare quello che lei deve diventare.
Per queste ragioni, tornare nella città natale per la diciannovenne significa immergersi in un labirinto emotivo destabilizzante che da una parte le offre la possibilità di sanare la fragile relazione con il padre, dall’altra di ridurre le distanze con una dimensione sociale ed esistenziale fino a quel momento non ancora del tutto esplorata. Questa duplice intenzione spinge Sardunya verso una vasta gamma di significati che tra poche luci e molte ombre, guardano tanto al divario generazionale quanto alla crisi sociopolitica in cui si trova attualmente la Turchia. Il film così oscilla tra l’affondo psicologico e l’affresco collettivo, fotografa con precisione il contesto facendo ricorso a una rappresentazione asciutta che ricerca la fissità dello sguardo della macchina da presa, la centralità del punto di vista, l’osservazione ravvicinata dei soggetti. Soluzioni attuate per smontare la razionalità schematica e disegnare architetture spettrali e simmetrie angoscianti che traducono la messa in discussione della giustizia e dell’ordine geometrico dell’immagine e della società.