Snowden, uno sprovveduto idealista per un opaco Stone

4k Un regista dal passato importante (e ingombrante) che negli ultimi vent’anni ha fatto onesta fiction senza lampi, sovente virata in chiave di biopic, alle prese con una storia che aspettava soltanto di essere tradotta in epica. Sarebbe bastata una scintilla, che tuttavia non è scoccata: alla resa dei conti, di fronte ad un risultato cinematograficamente modesto, ci si chiede se non è scattata l’alchimia o se, invece, la materia era meno esplosiva di quello che sembrava a prima vista. Entrambe le cose, probabilmente, con l’aggravante di uno schema narrativo il quale – reiterato da Oliver Stone di film in film in maniera ossessiva – dopo aver mostrato la corda già con Nixon-Gli intrighi del potere (era il 1995) e poi via via con Alexander, W., World Trade Center, Wall Street-Il denaro non dorme mai e infine Le belve, non trova un riscatto significativo nella consueta qualità del montaggio, qui oscurata da un intreccio in cui i tasselli vanno al loro posto in maniera un po’ troppo semplicistica. In fondo, la vicenda di Edward Snowden, giovane informatico statunitense che, dopo aver lavorato per CIA e NSA, ha deciso di rivelare informazioni segrete sui programmi di sorveglianza di massa del governo USA, era già stata affrontata con notevole qualità dalla documentarista statunitense Laura Poitras. Nel 2013, infatti, la Poitras venne invitata con una e-mail crittografata ad incontrare in un hotel di Hong Kong uno sconosciuto che si firmava “Citizen Four” e che prometteva rivelazioni incandescenti sulle pratiche di intercettazione e controllo messe illegalmente in atto (potenzialmente) su ogni cittadino del mondo, da parte della NSA (National Security Agency) e da altre agenzie di intelligence americane ed inglesi. A quell’incontro, e ai successivi, parteciparono anche il giornalista investigativo Glenn Greenwald ed Ewen MacAskill, reporter del quotidiano britannico The Guardian. Pochi giorni dopo, il mondo avrebbe conosciuto il volto e la storia di Snowden, mentre la Poitras potè porre le basi per un’opera intitolata Citizenfour, che avrebbe conquistato l’Oscar quale migliore documentario nel 2015.

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Oliver Stone raccoglie il testimone dalla Poitras, ripagata della primogenitura giusto con lo spazio della cornice di Snowden. Con estrema naturalezza passiamo dalla videocamera della cineasta allo sguardo di Stone: ciò che vediamo è la sua versione della vicenda, sostanzialmente coincidente con quella del protagonista – a sua volta ricostruita attraverso i volumi The Snowden Files e The Time Of Octopus, firmati rispettivamente dagli scrittori Luke Harding e Anatoly Kucherena, che hanno collaborato alla sceneggiatura – che finisce per diventare una sorta di agiografia di Edward “Biancaneve”, presentato quale uno sprovveduto seppure geniale idealista, che tra privacy e security prende infine posizione netta in favore della prima, costi quel che costi, pure sul piano professionale e degli affetti. Joseph Gordon-Levitt (nel ruolo più importante della carriera) è perfetto per capacità mimetica e stile a far convivere con pacatezza erasmiana condizioni apparentemente inconciliabili (ingenuità, idealismo, genialità, furbizia), mentre altri elementi del cast sono decisamente fuori ruolo (Nicholas Cage e Tom Wilkinson su tutti, ma pure Scott Eastwood). Più difficile invece inquadrare la prestazione di Rhys Ifans, 90085straordinario nel disegnare la figura del mefistofelico capo di Snowden, ma pure incline – in virtù della stravagante gigioneria che lo accompagna costantemente – a perdere la misura, debordando in più di un’occasione. Il film riesce da un lato a tessere con gusto e mano felice il ritratto di un patriota che cresce con la cieca fiducia in chi governa e vede nella carriera informatica dentro l’intelligence a stelle e strisce il surrogato (e poi la sublimazione) del servizio militare a cui ha dovuto rinunciare per inadeguatezza fisica; dall’altro non ce la fa a creare un collegamento significativo tra la situazione particolare di Snowden – con la sua lotta interiore che muove da crescenti dubbi etici – e la situazione politica internazionale. L’opera desta perplessità pure sul piano contenutistico, per la sintesi un poco brutale di una complessa e articolata guerra cibernetica globale, a tratti ridotta alla secca contrapposizione tra libertà dei singoli e sicurezza nazionale; di fatto non si eleva al di sopra di una poco aurea mediocritas che pare ormai lo stato definitivo di Oliver Stone. Ovvero uno capace, in passato, di portare a termine battaglie manichee di grandissimo impatto (Nato il 4 luglio, JFK), di folgoranti picchi espressivi (Talk Radio, Natural Born Killers), di epica magniloquente (Platoon, The Doors): esperienze che paiono definitivamente alle spalle. Ciò che resta è cinema che non annoia e non si compiace, ma che nemmeno accarezza gli occhi né scalda il cuore. E che lascia qualche dubbio pure in ordine alla reale portata della figura di Snowden (che vive tuttora in Russia, dove ha ricevuto asilo politico), sospesa tra eroismo e tradimento, tra affermazione di sé e instabilità.