«Ogni tanto penso che sono l’ultima.
L’ultima che può ricordarsi tutte le persone e tutte le cose che non ci sono più.
Tutto se ne andrà via con me oppure qualcosa resterà? Non lo so. Non lo so».
Ricordo confuso, segno indelebile, promessa da compiere, spazio nitido, stato d’animo sospeso. Ma cos’è il tempo, allora? Una casa in rovina, di vuoti e macerie, un labirinto senza uscita, di lacrime e rughe, una lettera d’amore, di speranza e follia, una canzone, una fotografia, un vestito nuovo, un sorriso. Dov’è il tempo, allora? Cosa resta a noi del tempo? Cosa rimane agli altri? A queste e altro mira Il tempo rimasto, il nuovo documentario di Daniele Gaglianone presentato fuori concorso nella sezione “L’incanto del reale”, al Torino Film Festival. Scritto con Stefano Collizzolli, prodotto da Andrea Segre con ZaLab, Rai Cinema e Luce Cinecittà, grazie al progetto ARCHIVIO ’900, ovvero la costruzione di un Archivio digitale dedicato alle memorie delle ultime persone che hanno vissuto il mondo e la vita prima delle grandi trasformazioni tecnologiche del ‘900, che sarà presto disponibile e consultabile online sul sito dell’Archivio Luce. Il tempo rimasto è un film-viaggio che assembla voci, volti e storie di tanti testimoni sparsi per tutta la penisola, capaci di raccontare frammenti della propria esistenza tra rimpianti e aspettative, drammi personali e sogni realizzati. «Nel film non si parla di emergenze sanitarie e l’attualità non domina il procedere del racconto, tutt’altro. Dopo aver fatto questo lungo viaggio in decine e decine di storie, di ricordi tristi e felici, penso di aver vissuto il privilegio di incontrare un mondo prezioso. Farebbe bene al nostro mondo bulimico, sempre più schiacciato su un presente scivoloso perdersi in questo tempo sospeso. Sarebbe saggio prenderselo questo tempo di ascolto e di incontro, andando alla ricerca del tempo cristallizzato in una fotografia, in un brillare di occhi, in una risata, in un silenzio».
Nel suo ultimo documentario Gaglianone ricostruisce un itinerario antropologico che unisce terra e cielo, mare e montagna, nascita e morte, guarda al legame intessuto da storia e memoria, uomo e mondo, natura e cultura e sceglie di mettere in evidenza tanto l’inevitabile oltraggio dei cambiamenti che il tempo ha generato quanto l’urgente bisogno di riscoperta e rivalorizzazione di ciò che resta di quegli anni vissuti e ancora da vivere. È un viaggio affettivo, non privo di nostalgia e rabbia, a volte malinconico altre volte proiettato nel futuro, sempre attento, curioso, sincero nel sottolineare le emozioni a partire dalla forza degli sguardi, dall’imprevedibilità dei sorrisi, dal movimento delle mani. Un film audace perché capace di dare voce agli anziani per fargli raccontare la storia della loro gioventù, anche se irrisolta, sghemba, senza via d’uscita, proprio oggi, in un tempo sospeso e fragile, dopo anni di pandemia e crisi della percezione del tempo ma anche in anni storditi e inorriditi dall’immagine stessa della vecchiaia sempre più “sgomberata” dal nostro immaginario. Proprio oggi che sembra diffuso il disinteresse ad ascoltare certe storie, che sembra smarrita la voglia di osservare e andare al di là delle apparenze, Il tempo rimasto rievoca la voglia di capire e di vedere. Fermarsi per andare indietro e avanti.