È gradito il ritorno del regista naturalizzato francese il cui cinema ha, negli anni, lasciato evidenti e indelebili tracce in questo festival, che, nonostante le sue evoluzioni, i suoi mutamenti, come spesso accade per i corpi viventi, continua ad affidarsi a una filosofia di fondo che resta patrimonio genetico non mutabile. Il film che quest’anno il sempre disponibile Green offre al pubblico del 40° Torino Film Festival è Le mur des morts, che prende spunto da un lungo muro realizzato nella capitale francese sul quale sono ricordati i nomi dei soldati parigini morti durante la Prima Guerra Mondiale. L’evocazione da parte di Arnaud del nome di uno di essi lo riporta in vita e nella contemporaneità del presente, l’attonito protagonista, guidato dal suo coetaneo del passato, rende attuale quel tempo di cento anni prima preparando il futuro. Il pensiero che guida questa nuova riflessione del regista è tratta da Sant’Agostino “Ci sono tre volte; un presente delle cose passate, un presente delle cose presenti e un presente delle cose future” ed è proprio in questa contemporaneità dei tempi, tutti convergenti in un presente così denso, oggi, di ulteriori significati per i vecchi e nuovi conflitti che si vivono, che il film di Green si radica, attualizzandosi più decisamente, in quest’epoca di nuova crisi, nella quale ancora più minacciosamente per l’Europa e l’intera umanità, si esasperano le paure scatenate da un bellicismo diffuso e sempre più estremo. Green ci offre a farci da guida la compagnia dello spesato Arnaud, che insieme a Pierre, l’anonimo soldato che ancora veste la divisa militare con la quale è stato seppellito, ci aprono la vista su questo portale del tempo attraverso il quale passato e presente sembrano dialogare in attesa di quel futuro così pieno di incognite che diventa progressiva evoluzione dell’eterno presente.
Il lavoro di Green, sempre attento a una convergenza tra immagine e parola, tra senso e racconto, ancora più decisamente ci ha fatto conoscere il peso che il passato, come fonte di conoscenza per il presente, riveste nel dialogo incessante e sotterraneo con il mondo in cui viviamo. Anzi, in altre parole, i suoi film in molti casi sono serviti a dissotterrare quelle relazioni invisibili e a farle diventare tema dell’oggi e ciò sia trattando della bellezza, sia delle relazioni tra padri e figli, sia della lingua come tratto inscindibile dall’identità e via ricercando nell’archivio dei ricordi segnati dalle sue immagini. Anche questa volta, nella quale sembra determinante l’attualizzazione della memoria in quel determinante meccanismo attraverso il quale tutto accade solo per mezzo della semplice reificazione della parola, Green sa raccontare la sofferenza del passato bellico riportandoci all’immediato nostro presente. Il suo film, essenziale ed esemplarmente scarno, procede in quel piccolo miracolo di farci guardare la stessa memoria evocata, diventando quell’esperienza non esperienza narrata e distante, ma presente e viva per Arnaud che rivive le emozioni attualizzando ogni timore. Ci accorgiamo dunque non della distanza tra i tempi e le epoche, ma invece della loro vicinanza e della responsabilità che riveste il ruolo di Arnaud nel quale tutti dovremmo riconoscerci.
Green, di nuovo, con il suo cinema ci apre mondi e prospettive inattese e Le mur des morts non è solo un pamphlet pacato, ma deciso contro la guerra, libro di memorie utili al presente. Il suo film è soprattutto chiave di volta e di accesso a quell’altro mondo che vive nella concezione di un tempo inesistente, o meglio secondo le parole del santo filosofo, in quel tempo che contiene tutti i tempi e nel quale convivono i sentimenti che sono comuni a ogni tempo. Senza sfarzi, ma con la forza di un pensiero inossidabile, il cinema di Eugène Green ci apre mondi e visioni inattesi, sa mostrarci la strada per vivere la contemporaneità, la memoria e i sentimenti di tutti gli uomini di tutti i tempi.