TFF41– Essere luce: Lux Santa di Matteo Russo

Per chi vive all’incrocio dei venti
Ed è bruciato vivo
Per le persone facili che non hanno dubbi mai
Per la nostra corona di stelle e di spine
E la nostra paura del buio e della fantasia
(Francesco De Gregori, Santa Lucia)

Vedere luce. Attraversare e diventare luce. Sullo sfondo silenzioso del cielo e del mare, costruire maestose piramidi di legno e accendere un fuoco che brucia, spinge verso l’alto, muove dentro qualcosa. Un’altitudine che riflette una profondità, di sguardo, di aspettative, di rabbie inespresse, di domande insolute. Essere luce. Contemplare e fermarsi a guardare, come all’interno di un mito ancestrale, come protagonisti di una storia che dura da un tempo lontano e si protrae in un altrove indefinito. Condividere l’essere fiamma che arde, che scalda, che alimenta un pensiero più forte della morte e di qualsiasi disperazione, pur riconoscendosi piccoli, inermi, fragili e distanti da una facilità che la vita, il territorio, gli uomini hanno negato. Riconoscersi comunità. Siamo a Crotone. Ogni 13 dicembre gruppi di ragazzi onorano la tradizione dei fuochi di Santa Lucia. La leggenda popolare narra che Santa Lucia era cieca. I dipinti la ritraggono con lo sguardo perso nel vuoto e in mano un piatto d’argento con sopra riposti i suoi occhi. Dunque il rito, nella cittadina, non deriva soltanto da una banale tradizione, bensì ha l’intento di restituire attraverso il fuoco la luce a Santa Lucia nel suo giorno. Chi sono i ragazzi che credono in questa luce? Da dove arrivano? Quale storia li accompagna? Il quartiere Fondo Gesù è il punto di partenza di un itinerario che attraversa le vie della città alla ricerca della legna, orientati da un desiderio che, appunto, illumina.

 

 

Luogo dell’anima e luogo dell’identità, prima ancora che essere luogo di nascita, il quartiere raccoglie le strade e il quotidiano, le amicizie e le sconfitte. Giornate lunghe e mai uguali in cui i ragazzi fanno i conti con problemi personali che spesso trovano origine nella propria famiglia: hanno 15 anni, si ritrovano già senza i loro padri e sono costretti ad essere mariti, sentendosi addosso il peso insormontabile della perdita dell’adolescenza. Un padre è in carcere, uno è sconosciuto, uno non c’è più. Il primo lungometraggio di Matteo Russo assume la forma del documentario di indagine sociale e antropologica esprimendo tutta la sua forza grazie a una netta matrice realistica che, se da una parte rispetta l’uso del dialetto e amplifica le componenti emotive grazie all’uso frequente di primi piani che dialogano con gli elementi di un paesaggio mai avulso o insignificante, dall’altra ha l’intento di sollevare il velo dalla cronaca nera e mostrare spiragli di una bellezza solitamente nascosta «documentando una tradizione millenaria che possa resistere negli anni e innalzarla a livello spirituale», come dichiarato da Russo. Il pretesto del rito dei Fuochi di Santa Lucia sposta il film verso una componente affettiva in quanto fa emergere l’importanza di un’idea di famiglia che si spinge ben oltre i legami sanguigni: qualcosa che li unisce come fratelli nel perseguire l’obiettivo di realizzare la struttura più alta e imponente della città.

 

 

La maestosa piramide che arde li aiuta a ritrovare, oltre che la gioventù perduta, anche la luce nelle loro vite buie segnate dal possesso e dal consumo, dalla tentazione di lasciare scappare il senso della realtà e delle relazioni. Uno stile ibrido, come lo ha definito proprio Russo: «Ci si serve di persone piuttosto che di personaggi – o meglio di partire dalle prime per costruire i secondi. Questa matrice da cinema della realtà spesso viene interrotta da un linguaggio costruito tipico dei film di finzione rivelando dunque uno stile ibrido. Il muro tra realtà e finzione però è invisibile, gli elementi documentaristici scompaiono ogni volta la struttura narrativa (che racconta i problemi dei nostri protagonisti) prende il sopravvento. Ho avuto accesso a queste vite in via del tutto esclusiva, mi sono conquistato la fiducia delle famiglie tassello, dopo tassello e adesso mi ritrovo ad avere una seconda famiglia a cui voglio bene». In fondo il film sembra domandarsi per cosa o per chi valga la pena spendere la propria vita, bruciare verso l’alto per quale ragione. Ugualmente, con sguardo mai morboso e scartando ogni forma di giudizio, Lux santa osserva lo scenario geografico e umano in cui c’è chi si è perso, non ce l’ha fatta ed è bruciato vivo. Come cantava il poeta.