Nato come un esperimento all’interno di un più ampio progetto realizzato da studenti e studentesse del Liceo Artistico Mengaroni di Pesaro, nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola promosso da Ministero della Cultura e Ministero dell’Istruzione e del Merito, Le belle estati di Mauro Santini è stato concepito come un documentario che vede la ri-messa in scena di due opere di Cesare Pavese, i romanzi Il diavolo sulle colline e La bella estate. Il film è anzitutto la meta (non definitiva), più il fine che la fine, di un viaggio che ha permesso a studenti e studentesse partecipanti di appropriarsi delle figure, dei dialoghi e dei temi trattati dalle opere pavesiane traducendole con la propria sensibilità, il proprio vissuto, il proprio punto di osservazione della realtà quotidiana. Attento osservatore della contemporaneità, dotato di uno sguardo gentile e visionario capace di andare oltre la forma delle cose, Santini è artista conosciuto per la profondità dei suoi lavori dedicati alla ricerca del sé, alla memoria, al tempo, il cui talento fu subito notato nel 2002 proprio al Torino Film Festival quando uno dei suoi celebri videodiari, Da lontano, vinse Spazio Italia (dove nel 2006 presentò anche il suo lungometraggio sperimentale Flòr da Baixa).
La vicenda è semplice. Ginia e Guido, Amelia e Poli, Oreste, Pieretto, personaggi dei romanzi di Cesare Pavese dialogano tra loro, in un montaggio alternato che porta le narrazioni pavesiane a sovrapporsi e mescolarsi in un unico flusso, attraverso le voci e i volti delle studentesse e degli studenti di un liceo artistico. Da qui il film si muove e cresce, respira e si trasforma assumendo una forma insolita, sfuggente e ammaliante: c’è un ritmo coinvolgente che lascia senza fiato a più riprese mettendo in gioco emozioni nascoste restituite sotto una luce autentica. Come dichiarato dallo stesso Santini, «il film è concepito come un gioco di specchi tra “le belle estati” dei giovani dei due romanzi e quelle degli studenti e studentesse che hanno partecipato alla realizzazione; è anche la verifica di quanto i giovani possano percepire vicine e attuali queste tematiche, a distanza di oltre settant’anni dalla loro scrittura». Sorprende la fluidità del racconto, la genuinità delle immagini in grado di rilasciare un’intensità abrasiva che traduce un reale coinvolgimento e una convinta disposizione da parte dei soggetti coinvolti, ragazzi e ragazze al centro della propria crescita, al netto di contradizioni, sogni e fatiche. Un atteggiamento e una resa che spostano gli equilibri del film proiettando Le belle estati non verso la finzione ma, appunto, nei dintorni di una ri-messa in scena dei due romanzi, rispettando le convenzioni di un documentario, «il documento – ha dichiarato Santini – del farsi stesso del film (motivo per cui gli studenti leggono il libro di Pavese, non lo recitano)». Per queste ragioni «il progetto è stato anche occasione di riflessione comune su quali strade debba percorrere oggi un cinema che possa definirsi contemporaneo. La mia proposta è stata quella di un cinema capace di riflettere su sé stesso, smascherando l’atto della sua creazione: ne è nato un gioco gioioso e piacevole, tra il credere alla messa in scena e lo svelarne continuamente le sue fragilità, dando priorità all’evidenza del reale».
Se è vero che, pur con tutte le distinzioni del caso, la visione del film fa riemergere i ricordi legati a La schivata di Kechiche, altrettanto riconoscibile è il legame con Giorno di scuola (che nel 2020 veniva premiato al Laceno d’oro come miglior film nella sezione lungometraggi internazionali) titolo che, come Le belle estati, possedeva analoga vivacità, espressione di un valore testamentario che restituiva il ritratto di donne e uomini del futuro prossimo colti nell’atto di apprendere, che davano a loro volta lezione di leggerezza e insegnamento a vedere con occhi nuovi, ad osservare l’orizzonte dal punto di vista di un banco di scuola. Qui l’esperienza nasce dalla lettura di un libro, dal tenere in mano un oggetto, affondare le dita nelle pagine, entrare con lo sguardo e immaginare, costruire relazioni e amare. Un’esperienza che salva e libera.