Pino è un racconto biografico diretto da Walter Fasano che ripercorre la carriera dell’artista Pino Pascali (Bari, 1935 – Roma, 1968). La narrazione si sviluppa attraverso il montaggio di fotografie in bianco e nero, opera dello stesso Pascali e di Pino Musi, esordendo dall’acquisizione, da parte del Museo Pino Pascali di Polignano a Mare, dell’opera Cinque bachi da setola e un bozzolo, che torna, dopo quarant’anni, di fronte a quel mare che l’artista barese tanto aveva amato. Sono le voci di Suzanne Vega, Alma Jodorowsky, Monica Guerritore e Michele Riondino a dare voce al racconto in tre lingue differenti, italiano, inglese e francese. Fasano, in un montaggio fotografico che ricorda stilisticamente La Jetée di Chris Marker, tocca i momenti salienti della carriera di Pascali: figura chiave del clima che, negli anni Sessanta, portò a maturazione i germi problematici da cui presero forma l’Arte Concettuale e l’Arte Povera, l’artista espone per la prima volta alla prestigiosa galleria La Tartaruga di Roma nel 1965. In soli tre anni si impone all’attenzione dei maggior critici d’arte italiani e di galleristi d’avanguardia quali Fabio Sargentini e Gian Enzo Sperone, dando vita a serie straordinarie come i frammenti espansi d’anatomia femminile, le armi, gli animali, il mare. Espone le armi alla Galleria Sperone di Torino nel 1966: Pascali ricrea macchine da guerra di grandi dimensioni che sembrano vere e proprie armi per uccidere, curate fino al minimo dettaglio. In realtà si tratta di sculture assemblate con materiali trovati dall’artista, come residuati meccanici, tubi idraulici, vecchi carburatori Fiat, rottami e manopole. Fasano ci catapulta con semplicità e immediatezza in quel periodo storico in cui gli strumenti del fare arte, quelli più tradizionali, lasciano spazio a strumentazione tecnica da garage e bricolage.
Pascali prende materiali inerti e li trasforma, rigenerandone, reinventandone la materia. Come contrapposizione alle sue macchine da guerra, l’artista crea in seguito diverse sculture in forme organiche, che ci trasportano in un universo più accogliente e che invadono pacificamente lo spazio con le loro forme morbide e variabili. Sono animali preistorici che riemergono dal profondo del subconscio e tornano in vita quelli esposti alla galleria L’Attico di Roma sempre nel 1966.Il mare è elemento onnipresente nel film, nelle parole di Pascali stesso, nelle fotografie, nella scultura del 1967 realizzata con l’acqua, colorata di anilina, blu e azzurro come i flutti che l’hanno cresciuto.
L’elegante bianco e nero delle fotografie d’archivio caratterizza non solo le immagini degli anni Sessanta ma anche la contemporaneità e le testimonianze visive del viaggio dei Bachi da setola da Roma a Polignano a Mare. Ed è proprio su di loro, sui Bachi, che si accendono forti i colori: il blu, il rosso, il verde emergono dal bianco e nero restituendo tutta la sinuosità e la potenza del cortocircuito tra parola e forma. Con la sua narrazione estremamente fluida, il film di Fasano è la storia del ritorno di un’opera e del suo autore alla propria terra, al proprio mare, al proprio sole, e rappresenta senza dubbio un ottimo punto di partenza per approfondire la figura di uno dei più importanti artisti italiani del secondo Novecento.