Il nome che immediatamente suscita più attenzione è quello di Mike Flanagan, salito a bordo come produttore esecutivo dopo che Shelby Oaks era stato proiettato in una versione non definitiva al Fantasia Film Festival di Montreal nel 2024. Se certamente a Flanagan può essere ascritto l’aiuto che ha permesso al progetto di raggiungere la forma attuale, non va commesso però l’errore di ricondurre il tutto sotto il suo cono d’ombra autoriale. Mente dell’operazione è infatti Chris Stuckmann, in America molto celebre come critico online e youtuber (tanto da rendere familiare il termine “stuckmanized” presso i suoi seguaci), che del film è non solo l’artefice materiale, ma anche lo sceneggiatore insieme alla moglie Samantha Elizabeth. Sua è pure l’idea della campagna virale sui “Paranormal Paranoids”, i cacciatori del paranormale da cui il film prende le mosse, con tanto di finti filmati di YouTube, propedeutici al crowdfunding con cui la pellicola è stata finanziata e che poi rivediamo in parte all’inizio della storia. La vicenda prende infatti le mosse dalla sparizione del gruppo e dalla ricerca di Mia, sorella di una di loro, in un arco di tempo di 12 anni, che la condurrà infine alla resa dei conti nello scenario della città fantasma di Shelby Oaks.

La prima parte, che utilizza tutti gli stratagemmi visivi e narrativi del cosiddetto found-footage, è così quella più interessante, in cui Stuckmann manipola non solo i materiali di cui è stato artefice, ma anche la riflessione sulla natura ontologica delle immagini nell’era della loro contraffazione digitale: i report dei Paranormal Paranoids, infatti, scatenano nella finzione scenica un fervente dibattito sulla reale natura delle missioni, tra entusiasti e scettici, che assumono naturalmente portata critica più rilevante laddove riflettono proprio il lavoro di una persona che con i meccanismi della rete ha fatto fortuna. Sebbene poco si aggiunga al dibattito che fin dalle origini ha contrassegnato questo tipo di cinema (fin dai precursori Cannibal Holocaust e The Blair Witch Project), la malizia di Stuckmann concede divertenti risonanze che guardano al nostro presente in cui il confine tra realtà e finzione si fa sempre più labile, pur nella convinzione che non si esca più di tanto dal mero divertissement di genere.

Proprio quando il gioco rischia di prendere la mano, però, il neo regista è scaltro quel tanto che basta da fermarsi, abbandonare la narrazione in soggettiva per una più tradizionale, che segue il percorso di Mia lungo i segreti che hanno portato alla sparizione della sorella e in cui si abbraccerà in modo più definitivo il filone demoniaco-paranormale. Anche qui Stuckmann opera con una certa intelligenza, evitando le esauste iconografie alla Conjuring, in favore di un uso estremamente oculato dei salti sulla sedia, cui preferisce una più attenta costruzione della tensione e viene coadiuvato dall’eccellente performance della protagonista Camille Sullivan. La chiusa in cui un colpo di scena ribalta una volta di più le certezze, riconsegna però il film al gioco di specchi tra realtà e finzione, incarnandolo nel dualismo tra le due sorelle: segno di come il divertissement del regista non abbia smesso di condurre la partita secondo le proprie regole fino alla fine. Indubbiamente il progetto mantiene in questo modo una sua coerenza, seppur l’esito finale non susciti entusiasmi eccessivi, rinfocolati soprattutto dal rispetto per la natura indipendente della produzione e per il suo peculiare e laborioso percorso (le cui prime avvisaglie datano addirittura al 2019).


