All’interno di una filmografia perfetta come quella di David Lynch (dieci titoli che iniziano e finiscono con due opere-mondo come Eraserhead e Inland Empire), il lungometraggio Fuoco cammina con me gioca ancora adesso il ruolo dell’outsider. Non solo perché è il suo unico film a fare riferimento a un precedente lavoro (la serie tv I segreti di Twin Peaks), ma anche per il suo costituire un autentico momento di snodo fra la linea più “narrativa” di Elephant Man, Velluto blu e Cuore selvaggio e quella più liberamente astratta dei successivi Strade perdute e Mulholland Drive. In questo senso, Fuoco cammina con me rappresenta un autentico “doppio” liberato di Twin Peaks, finalmente sottratto ai meccanismi del whodunit che pure avevano causato attriti con il network ABC e che permette a Lynch di riappropriarsi definitivamente della storia. Il regista lo fa tornando all’inizio di tutto, al primo omicidio di Teresa Banks e agli ultimi giorni di Laura Palmer, lavorando su un’idea di persistenza di un immaginario televisivo ormai concluso, ma che pure si pone in una sfera altra rispetto alle regole comuni – la scena in cui Cooper vede la sua immagine “resistere” in modo innaturale sul monitor, ma costituire comunque prova tangibile della presenza in ufficio di Jeffries ne è un buon esempio.

Tutta la storia è perciò contrassegnata da un riferimento costante al “doppio”, che organizza e completa quanto già seminato sul piccolo schermo, mentre ne rimescola le carte: la ridente cittadina che riecheggia un certo immaginario americano anni Cinquanta ma nasconde un cuore sordido, si palesa al mondo attraverso una ragazza divisa fra un’immagine pubblica di tutto rispetto e una vita condotta nel segno della distruzione perpetrata dal Killer Bob e dell’autodistruzione a base di sesso e cocaina per tenere lontani da sé i demoni della famiglia. Se la destinazione cinematografica permette un’audacia anche superiore a quella della controparte televisiva, Lynch può finalmente insistere frontalmente sul tema dell’incesto che caratterizza il rapporto fra Laura e il padre Leland (altro esempio di personaggio “sdoppiato” fra una metà positiva e una negativa), che contamina l’intera narrazione. In questo senso, il ribaltamento insito nel tema del doppio è ciò che permette a Fuoco cammina con me di adottare una prospettiva interiore che aggredisce la forma della narrazione stessa, più lontana da quella pur innovativa del serial, e determina un’alterazione percettiva.

Non più guidato dalla figura procedurale di Dale Cooper, lo spettatore è immerso nella sensibilità di Laura, nelle sue coordinate scontornate, a metà fra realtà, sogno e allucinazione che determinano un andamento lisergico, il suo essere un personaggio già passato, di cui si conosce il futuro e che vive perciò sospesa in un tempo che sa già essere terminale. Il lavoro di Lynch usa a suo vantaggio questo sfasamento temporale per un consapevole lavoro di sabotaggio sulla forma del racconto – si noti ad esempio come la musica spesso renda incomprensibili i dialoghi, Lynch è anche il sound designer del film. In questo l’autore è aiutato da una Sheryl Lee che diventa punto nodale di tutto il suo mondo: l’attrice si offre al ruolo di Laura con dedizione totale, quale icona cangiante che passa senza soluzione di continuità dal candore scolastico alla perdizione dei night club, spogliata degli abiti e lacerata nell’animo dai conflitti tra le pareti domestiche. Il personaggio trascorre quasi tutto il tempo sullo schermo in uno stato di alterazione che va dalla catatonia al pianto continuo, gridando la sua voglia di esserci e la presa di coscienza di essere un’immagine destinata a svanire (e i continui riferimenti a monitor, fotografie, quadri non fanno che ribadire il concetto). In questo modo, Laura Palmer riassume in sé le istanze di una forma racconto che è tragica e al contempo sfuggente.

Su questa idea di organizzazione sfalsata, il film affastella perciò immagini opposte: i due agenti dell’FBI del prologo, la bionda Laura e la bruna Donna (come anche la bionda Laura e la bruna Paulette), i due clienti nel locale, l’amore puro di James e quello “maledetto” di Bobby, il nano e l’uomo senza un braccio. Sono tutte metà di un intero che è quello di un cinema americano che guarda alla sua classicità (gli anni Cinquanta) ma allo stesso tempo ne testimonia la corruzione e dona così forma a un film duale, tanto disperato quanto affascinato dalle possibilità artigianali della messinscena – valga solo il posticcio ma fiabesco angelo del finale. In un percorso che a sua volta riecheggia quello compiuto con Dune, adattamento “infedele” e unica possibile risposta lynchiana allo strapotere della space-opera alla Star Wars, un titolo come Fuoco cammina con me rilancia la sfida estetica e politica di un artista pronto a nuovi traguardi. Il tutto, si badi, restando però all’interno dei canoni già stabiliti: pur sotto nuove forme, il film non trasgredisce quanto già stabilito dalla narrazione televisiva, è anzi molto lucido nel creare collegamenti corretti e seminare anche inediti dettagli per il futuro. Valga per tutti il misterioso nome di “Judy”, che troverà poi inaspettata incarnazione nella miniserie conclusiva del 2017.


