Venezia77 – La poesia gentile di Gaza mon amour di Tarzan Nasser e Arab Nasser

Gaza. Oggi. Attraverso due personaggi, il pescatore Issa e la sarta Siham, si entra nella vita quotidiana della Striscia, le piccole attività commerciali, i discorsi con gli amici, le solitudini e gli incontri, e la possibilità di un nuovo amore tra chi da tempo l’amore non lo cerca più. Gaza mon amour (in Orizzonti) è il secondo lungometraggio dei gemelli palestinesi, nati a Gaza nel 1988, Arab e Tarzan (nomi d’arte di Mohammed e Ahmad Abu) Nasser. Avevano esordito nel 2015 con Dégradé, una commedia che usava il luogo chiuso di un salone di bellezza come microcosmo sociale per parlare di politica e tensioni militari tenute fuori dall’ingresso, ma ben evidenti. Anche in Gaza mon amour si ricorre alle storie personali lasciando, ancora di più rispetto all’opera precedente, sullo sfondo le immense instabilità generate dall’occupazione israeliana. Ma i Nasser compiono un salto di qualità notevole, affinano il loro sguardo, lo caricano di malinconia, di silenzi, di lieve umorismo, di una calda umanità e intimità guardando al cinema classico (anche in certi riferimenti in colonna sonora e in televisione – dal divo della canzone sentimentale egiziana del Novecento Farid al-Atrash a Julio Iglesias, a schegge di film mélo tra cui quello di uno dei maestri del cinema popolare e d’autore dell’età d’oro del cinema dell’Egitto, Henry Barakat). Con la complicità di una sceneggiatura essenziale e di interpreti esemplari: la palestinese Hiam Abbass (già sul set di Dégradé, che racchiude in sé la classicità sempre più sobria di una recitazione cesellata sulle sfumature del volto, e che da metà anni Novanta ha dato al cinema personaggi memorabili), Salim Daw (attore palestinese di cinema e televisione, qui perfetto nei panni di un uomo di poche parole che ritrova emozioni e imbarazzi sentimentali come fosse un ragazzo) e attrici palestinesi giovani e di talento come Maisa Abd Elhadi (nel ruolo di Leila, la figlia divorziata di Siham, anche lei presente in Dégradé, mentre in filmografia ha anche il potente film di militanza politica 3000 Layla, 3000 notti, della palestinese Mai Masri).

 

 

Si diffonde nelle immagini di Gaza mon amour una poesia gentile: sugli scorci della città (filmata di notte con un dolly o di giorno alla fermata di un bus o nella piazza del mercato bagnata dalla pioggia in una scena che ha un tocco di sublime commedia romantica), nelle case screpolate e spesso senza elettricità, sul peschereccio di Issa (che diventerà, nell’epilogo, il set del coronamento dell’amore tra Issa e Siham, ma sotto il controllo dell’esercito israeliano che con una motovedetta avverte l’imbarcazione di avere sconfinato dai cinque chilometri di acqua attualmente permessi ai palestinesi e di tornare indietro – ovvero anche in una storia d’amore a lieto fine da Gaza non si esce è l’amara constatazione), nella delicatezza con cui il pescatore cerca di deporre il reperto archeologico pescato dal mare (una statua fallica di Apollo; il primo titolo del film era proprio Apollo) nell’armadio di casa, ma incautamente facendolo cadere e mozzandogli il pene eretto. Si tratta di espedienti narrativi per aprire la storia ad altri capitoli (compreso l’accenno alla corruzione tra periti, archeologi e Stato), abbandonandoli infine per concentrarsi sulla vicinanza sempre più prossima tra Issa e Siham, che si concretizza nella penultima scena (di commovente bellezza) sul pianerottolo e la scala davanti alla porta dell’appartamento di Siham cui Issa ha bussato. All’imbarazzo e al silenzio iniziali e grazie all’arrivo della figlia la situazione d’impasse deflagra in una risata contagiosa avviata da Leila, nel vedere la madre e l’uomo che le ha chiesto di sposarla, proseguita da Siham e da Issa. I gemelli Nasser realizzano un atto d’amore per la loro terra, senza mai dimenticare di essere sotto assedio (nell’epilogo già ricordato).