Espugnare la bestia entrando nel suo cervello. Questo il piano di Link nel momento in cui si rende conto di poter diventare una star del web attraverso i sistemi di comunicazione virali e invadenti della generazione dei ventenni. Prima schivo e introverso, viene letteralmente lanciato sui piccoli schermi da una barista aspirante artista, che ancora non sa cosa vuol fare nella vita, ma intanto cattura immagini insolite in giro per Los Angeles. É questo l’inizio di Mainstream A Venezia nel concorso Orizzonti), secondo lungometraggio di Gia Coppola (nel 2013 aveva presentato a Venezia, sempre in Orizzonti, Palo Alto), pensato come un’opera pop, accelerata e rumorosa, sull’ossessione dell’autorappresentazione, l’iperconnessione e la bulima di chi si mette di fronte ad una videocamera o ad uno schermo e parla o ascolta, agisce o guarda senza mai superare il limite di una superficie effimera, bugiarda e ingannevole. Nell’epoca in cui gli youtuber si aggiudicano contratti milionari dagli sponsor, Gia Coppola (nipote di Francis) ci propone il proprio punto di vista sui moderni luna park mediatici, riuscendo nella difficile impresa di restare in bilico tra i due mondi, barcollando talvolta, eppure riuscendo sempre a dominarli.
Un controllo ottenuto grazie al fatto che i personaggi siano spinti a più livelli a perdere il controllo, come quando Link, istrione incontenibile, schietto ed enigmatico paladino della dignità umana e della vita fuori dai social, trasforma il suo personaggio anticonformista in santone No-one-special, moralista e mainstream, appunto. Come dire che la celebrità e la ricchezza trasformano ogni ambiente in luoghi scivolosi, in cui gli specchi si moltiplicano fino alla vertigine. I messaggi sono affascinanti e contraddittori, la trasgressione solo un’illusione per creduloni. La morale non è univoca, anzi, confonde per lucidità e cinismo, ma ha radici profonde e antenati lontani. Perché non si tratta di raccontare la storia dell’ascesa e della caduta di un divo, ma della sua voracità di alieno, che si nutre dei meccanismi che crede di combattere, imitandoli, identificandosi in essi fino ad esserne divorato. Storia più antica dell’uomo, che Gia Coppola organizza come una stand-up comedy, i fari puntati, il brusio della gente e uno sguardo indie graffiante, ma virtual pop, con emoticon a tutto schermo e bugie digitali a profusione. Ma la morale è una giostra che gira su se stessa ed è precisa nel prendersi gioco di chi la manipola. Il “senso di inadeguatezza di massa” cui si accenna a parole e che si vive spettacolo dopo spettacolo.