Il colore grigio cenere di Napoli in Sotto le nuvole, di Gianfranco Rosi

Un primo atto di inversione rispetto ad una idea su Napoli e il suo carattere connaturato a quello dei suoi abitanti, secondo una vulgata ormai dura a morire, è quello di avere attraversato con la macchina da presa il suo territorio dedicando uno sguardo in bianco e nero a quella che è, secondo quel luogo comune, la città più colorata e vivace d’Italia. Non è un atto di ribellione, piuttosto un lavoro sul tempo in una specie di ritorno alle origini, un modo di riflettere sulla modalità dello sguardo e sulla sua natura, che, a differenza del passato, appare per il regista di Asmara, partecipativo all’evento della messa in scena, più dentro una certa verità che è il fine ultimo di ogni indagine del cinema. Forse il suo film così pieno di grigi serve a denudare di nuovo una città che nell’ulteriore lavoro di mappatura del suo territorio così vasto, ma anche vivacemente pericoloso e ancora di più pericolosamente tremante tra bradisismo e forza trattenuta del Vesuvio, appare, se si può, ancora più esposto ad un pericolo imminente. Una minaccia che sembra scongiurata dalla ricchezza delle risorse umane in quella dovizia di impressioni che restituiscono l’originalità della visione delle cose della vita. Sotto le nuvole, nel Concorso principale del Festival di Venezia 2025, appare quindi come un film che segna un punto di svolta nella filmografia di Rosi che da osservatore di cose invisibili che avvengono in un mondo visibile (pensiamo a GRA soprattutto) qui, invece, si fa portavoce di una specie di dolore attenuato che cova sotto la terra della città, come cova il tremore. Come covano i resti di un’antichità depredata, come cova l’interesse per una cultura che non sia solo libresca. Quella cultura così popolare, eppure così essenziale che ritroviamo nei tratti accoglienti dell’anziano maestro di quei ragazzi che in doposcuola alla buona frequentano la sua variegata bottega.

 

 

È così che Napoli, in tutto questo accadere che Sotto le nuvole racconta e mai sotto il consueto e conosciuto sole, si mostra, ancora una volta, così come è tra ricchezza e povertà, con un aristocratico passato diventato preda del malaffare, metafora o sineddoche di un meridione d’Italia che segue quella stessa sorte, davanti all’impotenza scandalizzata delle Istituzioni. Una Napoli porosa, così come la descriveva Benjamin, mutevole e mutante, set naturale per raccontare un tempo che sembra fermo pur nel suo scorrere come i suoi tunnel invisibili, frutto di un lungo e paziente lavoro dei tombaroli che danno vita ad un’altra misteriosa città sotterranea. Il cinema di Rosi dismette una certa sua freddezza dettata da un estremo controllo di tutto il materiale che diventava modalità razionale di esposizione. In Sotto le nuvole Rosi si lascia andare fino a trovare nel dramma familiare telefonato al numero verde dei Vigili del Fuoco, protagonisti decisivi del film, il carattere caldo di un sorriso bonario, il lavoro amorevole dell’interlocutore istituzionale in un afflato, ancora una volta, quasi estraneo al suo cinema così composto e finora fin troppo impeccabile.

 

 

In questa Napoli ancora una volta nuda, dopo le pagine di Malaparte e quelle di Ermanno Rea, dopo tutte le immagini che abbiamo visto dedicate a questa complessa e composita città che possiede davvero mille volti, ancora una volta, come la sua Parthenope, sa mostrarsi, sotto l’occhio che abbandona la maniera per dedicarsi all’irrazionalità dell’arte, ad una bellezza segreta e sotterranea dove il suo passato è dettato dai sentimenti dell’archeologa che dialoga quasi clandestinamente con se stessa riflettendo sul legame indissolubile che il passato segna con questo presente così incerto. Tombaroli e terremoto, tremori che accompagnano la vita di una città che vive sul mare e che ha alle spalle un monte che a tratti fa paura nel ricordo della tragedia di Pompei, che diventa istantanea irripetibile di una catastrofe in quel grigio cenere così simile al colore che avvolge le amorevoli immagini di Rosi che guardano Napoli mentre Napoli sembra quasi ritrovare i tratti umani di una sua rigenerazione nei processi organici che la attraversano e la determinano.