Cercando Valentina. Il mondo di Guido Crepax di Giancarlo Soldi fra gioco e contaminazioni

Vi sono espressione artistiche che possono darsi solo nel loro tempo storico. Una di questa è Valentina di Guido Crepax, un classico insuperabile dell’erotismo, di un genere che non ha trovato mai un nome, ma di cui si avverte drammaticamente la non riproducibilità, se non persino la non ricettività fuori dal suo tempo. L’unica parola che viene in mente è Libido, ma come connotazione politica e antropologica non tanto dell’opera quanto del suo tempo. Il segno di Crepax ne è sintesi estrema. La vibrazione di cui è capace supera la plasticità piena del desiderio di Milo Manara, sicuramente più diretta e ingenua e per questo anche più universale, ma anche meno potente e “critica”. L’approccio di Crepax è, infatti, sin dall’inizio carico di rimandi letterari e cinematografici, espressione di un pensiero critico autoriale. Lo racconta in questo film documentario lo stesso Manara interrogato da Giancarlo Soldi Cercando Valentina, ossia facendo ricostruire Il mondo di Guido Crepax dal primo dei suoi personaggi, Philip Rembrandt. Personaggio subito messo in secondo piano dalla donna che insegue e con cui Crepax inizia un gioco di specchi. Ne sono testimoni i figli e la loro casa, dove ritroviamo oggetti di arredo e persino il grande armadio dei desideri. Un armadio olandese dove realmente Crepax depositava i suoi lavori e che ancora oggi è carico di quei tesori. In quella casa viveva Valentina con indirizzo e numero di telefono riprodotti fedelmente nei suoi fumetti.

 

 

Impressionante la somiglianza di Luisa, la moglie. Persino nel taglio di capelli e nel nome, essendo Valentina notoriamente una vera reincarnazione di Louise Brook, la Lulù del film Il Vaso di Pandora di Pabst. Alle spalle di Valentina in una tavola scopriamo anche la biblioteca di Crepax e tutti questi rimandi fanno parte di un’epoca particolare in un luogo particolare. La Milano a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, metropoli al centro di una fibrillazione europea e mondiale da cui nasce la rivista Linus, per opera di Giovanni Gandini, e intorno alla cui redazione ruota “un branco di lupi di cui Valentina è il capo branco, fuori dalle regole e contro le regole” (Giovanni Mastrangelo). Crepax vive quell’atmosfera un po’ appartato, invitando gli amici a giocare a casa sua con soldatini da lui costruiti per meravigliose battaglie storiche, come Waterloo, minuziosamente ricostruite tranne introdurci tante Valentine a scompaginarne l’esito ma seguendo rigide regole di gioco tali da far impallidire gli appassionati di Risiko. Così anche tra loro lancia Valentina e in quell’ambiente ogni libro letto da Valentina diventa un suggerimento di lettura, in un continuo gioco di rimandi e contaminazioni. Una quotidianità che si fa subito terreno di gioco, politico quanto narrativo. Ce ne danno una lettura lucida sia Francesco Casetti, sia il semiologo Daniele Barbieri. Oltre al graffio il segno di Crepax è potenziato dalla rivoluzionaria impaginazione. Le tavole diventano decoupage cinematografici, dove la frammentazione del tempo e dello spazio, l’esaltazione del dettaglio e soprattutto la contemporaneità della visione, dentro cui allo sguardo viene restituita una libertà che supera le stesse incoerenze di stacco apprese da quella nouvelle vague di cui si nutre quella generazione.

 

 

Valentina gli rende scacco matto. Lo fa anche verso i suoi riferimenti letterari, liberandoli da ogni impaccio in un mondo immaginifico ma non meno reale, dove però “non i presunti fatti ma il piacere della narrazione determina il modo di andare avanti” (Francesco Casetti). Un piacere che è proprio quel luogo del desiderio liberante e liberato, risolto in un equilibrio perfetto tra apollineo e dionisiaco. “Raccontare il desiderio è la cosa più difficile del mondo, quel punto dove si incontra l’immaginazione con il corpo, uno dei pochi sentimenti identico per maschi e femmine, e il personaggio di Valentina riesce ad essere bifronte, non solo amata da entrambi ma soprattutto amata per la stessa ragione, e non sono molti a saperlo fare” (Elena Stancanelli). Così se le femministe inizialmente non l’amarono e se Oreste Del Buono (dopo la morte di Gandini e la cessione alla Rizzoli nuovo direttore di Linus) in un significativo filmato di repertorio nella redazione della rivista si lamenta che faccia calare troppo le mutande anziché far vedere il mitra della rivoluzione, la linea di confine verso una mercificazione pornografica è cosa già alle spalle e che presto sarà dimenticata. La cosificazione in merce in Valentina è già assunta come territorio dell’agire, che diventa rivoluzionario perché ne sposta i confini investendo a pieno la libido. Il confronto tra Ciao Valentina e Blow Up di Antonioni, entrambi del 1966 è singolare. In entrambi il dettaglio fotografico è lo spostamento dell’attenzionalità dalla figura allo sfondo. In entrambi il mondo della moda e della fotografia si affacciano come allegoria del proprio tempo. A questo personaggio Benjamin avrebbe certamente dedicato uno dei suoi frammenti dei Passages. È di questa reinventata flânerie che vivono sia il fotografo di Blow Up, sia Valentina e il mondo intorno al suo creatore, non a caso di lei conserviamo soprattutto il ricordo delle sue pose con le gambe disarticolate e la macchina fotografica al collo.

 

 

Un mondo che immediatamente restituiva il piacere di un’immersione piena e desiderante. Il documentario ce ne offre una testimonianza, ma a distanza, per esempio nei bellissimi repertori 8mm dello stesso Gandini o nelle registrazioni audio di quelle interviste di Umberto Eco a Elio Vittorini che spesso vennero pubblicate proprio da Linus. Si sente spesso nel film il bisogno di eccedere da questa forma filmica, quasi a desiderarne lo scivolamento verso territori più immersivi di VR. D’altro canto sia il regista e soprattutto la produttrice Stefania Casini vengono da pratiche di sperimentazione su questi territori. Se il documentario resta la forma migliore per proporre repertori e interviste, il piano visivo e sonoro apre al desiderio di rivivere il tratto, la china nera e poi i tratti rosso denso o blu elettrico, che qui, non potendo avere la pienezza aptica della pagina stretta tra le mani, restano troppo in superficie nella ricostruzione filmica del personaggio di Rembrandt interpretato da Riccardo Vianello. Resta il desiderio di riprendere tra le mani Valentina sperando riesca ancora a trasmetterci qualche brivido non appagante, ma di desiderio. Che è azione, movimento.