Nel punto immobile del mondo rotante (a cura di Cristina Ambrosini e Davide Ferri, Musei San Domenico – chiesa di San Giacomo, Forlì) non è una mostra tradizionale. È piuttosto un dialogo prolungato tra Remo Salvadori (nell’immagine qui sopra Lente liquida, 1996-1998. Foto Luca Massari) e l’architettura di San Giacomo – che si dispiegherà fino al 18 settembre 2016 –, una lunga frequentazione tra il corpo dell’opera e quello dell’edificio ospitante, dove troveranno luogo lavori emblematici della poetica di Salvadori. È proprio un’idea di vitalità dell’opera, dell’opera come luogo attorno a cui si addensa un’energia e si vive un’esperienza, uno scambio intimo e dinamico con lo spettatore, che gli interventi di Salvadori al San Giacomo attivano e nutrono. Le opere dialogano tra loro e con l’architettura da posizioni diverse e potenzialmente complementari, e, nel corso dei mesi, rinnovano il loro rapporto con lo spazio attraverso spostamenti, nuove collocazioni che accompagnano gli eventi programmati (concerti e conferenze).
Un progetto che include più interventi di Remo Salvadori nella chiesa di San Giacomo a Forlì, e che ha intrecciato un dialogo tra la grande mostra Piero della Francesca – Indagine su un mito, da poco chiusa ai Musei San Domenico, e un artista italiano attivo nel nostro tempo, suggerendo la possibilità che la luce di Piero si estenda oltre i confini temporali in cui si inscrive la mostra, dunque anche nel presente. L’identità dell’arte italiana attuale, infatti, è certamente rintracciabile anche in un legame con il Rinascimento non tanto per via di rimandi diretti o citazioni, ma come inevitabile sopravvivenza di una dimensione neoplatonica e geometrizzante, metafisica, una linea che attraversa tutto il Novecento e arriva ad alcune delle ricerche più attuali. La scelta per questo appuntamento è ricaduta dunque su Remo Salvadori, uno dei maggiori artisti italiani della sua generazione, una figura emersa nel panorama dell’arte a cavallo tra anni Settanta e Ottanta e che, proprio negli anni Ottanta, ha sviluppato un linguaggio legato alla scultura, all’installazione e a interventi site-specific in controtendenza con il diffuso ritorno alla pittura di quel decennio; un lavoro che, riletto a posteriori, funge da collante tra l’esperienza dell’Arte Povera e le poetiche degli artisti delle generazioni successive. L’intervento, da leggersi come il primo di un’ipotetica serie a cadenza annuale, mira anche a ridefinire una delle possibili funzioni della chiesa di San Giacomo come spazio per l’arte contemporanea, con una serie di opere che siano in grado di ri-orientare gli sguardi dei visitatori sul luogo ospitante.
Remo Salvadori (nato a Cerreto Guidi, in Toscana nel 1947) ha partecipato alle più importanti rassegne e mostre internazionali d’arte contemporanea, come Documenta di Kassel (nel 1982 e nel 1992) e a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1982, 1986 e 1993). Ha esposto in alcuni dei principali musei italiani e del mondo, e anche in siti storici e archeologici e prestigiosi luoghi pubblici (Piazza San Giovanni a Firenze, il Parco Archeologico di Ostia Antica, il Parco Archeologico di Istanbul). Una volta si è raccontato, inquadrando la sua “poetica” e l’universo complesso e stratificato delle sue opere: “Il mio è un cammino in direzione di un desiderio di consapevolezza, quasi fosse ‘l’ascensione al monte ventoso’ di Petrarca, dove il percorso compiuto è anche un’introspezione”.