2014. Nella Repubblica Centrafricana da tempo imperversa una sanguinosa guerra civile tra le due fazioni dei Seleka e degli Anti-Balaka, rappresentanti dei due gruppi religiosi maggioritari, i musulmani e i cristiani. Il 12 maggio di quello stesso anno vengono ritrovati cinque corpi senza vita e, tra questi, quello di una donna bianca di 26 anni. La donna si chiamava Camille Lepage ed era una fotoreporter francese che da tempo si trovava nella RCA per documentare la violenza del conflitto. Camille, secondo lungometraggio del regista francese Boris Lojkine, è il ritratto appassionato di questa giovane piena di ideali e luce, che si sentiva a casa nel bel mezzo di una guerra non sua, “tra i suoi simili umani”. Dopo Hope, presentato a Cannes nel 2014, Lojkine ritorna a parlare di Africa e di umanità in quello che non è un semplice ripercorrere le ultime tappe del lavoro di Camille Lepage, ma un vero e proprio omaggio alla sua passione e alla sua forza d’animo, al senso di umanità che la abitava. Oltre a questo, il film ha il merito di riportare alla luce un conflitto invisibile e dimenticato già ai tempi della sua attualità, quando pochi quotidiani vi dedicavano spazio e l’interesse da parte della stampa internazionale era debole e temporaneo. Lojkine mescola la finzione con lo stile documentaristico grazie alla presenza degli scatti originali di Camille che, nei loro diversi formati, si integrano con il racconto di quegli stessi momenti catturati dall’obiettivo.
All’epoca dei fatti raccontati, Camille si occupava di fotografia da soli due anni ma il suo talento l’aveva portata presto a maturare uno stile sempre più definito e personale, anche grazie a un prolifico dibattito sull’etica e la professione del fotoreporter di guerra con i colleghi più esperti incontrati sul cammino, gli inviati ufficiali delle testate più importanti di Francia (tra gli attori anche Bruno Todeschini e Grégoire Colin). Camille è il ritratto dell’ostinazione giovanile e di una passione ribollente portata avanti con audacia e l’attrice Nina Meurisse, già vincitrice del Premio Lumière come miglior rivelazione femminile, oltre ad essere fisicamente molto rassomigliante è bravissima nel vestire i panni della fotoreporter, a interpretarne lo sguardo e gli stati d’animo. Con la forza e l’energia di uno sguardo libero, Lojkine rende il giusto omaggio a quella che ancor prima di essere stata una grande fotografa era una donna che coglieva l’umanità anche laddove sembrava difficile trovarla.
Camille è visibile fino al 15 febbraio sul sito https://www.myfrenchfilmfestival.com/en/