Gigi Riva, omerico eroe azzurro

Sono passati decenni eppure ancora oggi, girovagando per la Sardegna, capita di vedere scritte inneggianti a Gigi Riva. Un’esagerazione? No, il risultato della totale identificazione fra una squadra, un popolo e il suo eroe. Squadra povera (nel senso nobile del termine), formata da giocatori che sembravano contadini e operai. Facce proletarie che incarnavano (forse senza saperlo) un nuovo atteggiamento verso la realtà, rappresentando il bisogno di speranza della gente sarda. Il Cagliari era neorealista perché suggeriva una presa di coscienza dei problemi collettivi, perché dava un significato direttamente sociale alle proprie imprese. Gigi Riva non ha indossato la maglia azzurra, è la maglia azzurra. Tre numeri raccontano questa verità: 42-35-2. La prima cifra è relativa alle poche presenze (rispetto alla sua immensa classe) che ha collezionato in Nazionale; 35 sono le reti che ha messo a segno e che ne fanno il più grande cannoniere della storia azzurra; 2 le fratture che ha subito per difendere i colori della Nazionale. L’omicida fallo subito a Vienna il 31 ottobre del 1970 gli ha lungamente interrotto la carriera. Solo una settimana prima aveva espugnato San Siro battendo l’Inter 3 a 1 ed era stato incoronato da Gianni Brera: “Il Cagliari ha subito umiliato e infilato l’Inter a San Siro. Oltre 70.000 spettatori: se li è meritati Riva, che qui soprannomino Rombo di Tuono.” Per ricordarlo ecco un estratto da un’intervista a Rombo di tuono tratta da Il mondiale è un’altra cosa (Bompiani) di Massimo Rota e Franco Dassisti.

 

Se pensa alla maglia azzurra, quali sono le prime immagini  che le vengono in mente?

Sono due e racchiudono un po’ tutta la mia vita azzurra. La prima è la vittoria all’Europeo del 1968. La serata della finale, il mio gol in apertura. Il fatto che Roma quella notte non andò a dormire. Io avevo l’aereo per Cagliari alle 7 del mattino e ho girato tutta notte per partecipare ai festeggiamenti. Mi sono immerso in quell’allegra follia collettiva. La seconda è negativa ed è la frattura che ho subito a Vienna.

 

Cosa rappresentava per lei quella maglia?

L’ho sempre detto, la maglia azzurra mi si è attaccata alla pelle. La sento dentro. Quella del Cagliari l’ho altrettanto amata, ma in modo differente. Quei colori mi hanno dato tanto. In quest’isola mi sono fermato più di cinquant’anni fa e ho ricevuto affetto, amicizia.

 

Se potesse rigiocare una partita della Nazionale, quale sceglierebbe?

Non ho dubbi quella con l’Austria che mi è costata troppo. Starei fuori, non scenderei nemmeno in campo. Quello è stato uno snodo importante della mia carriera. Avevo 26 anni e un incidente così grave non ci voleva proprio in quel momento. Se dovessi quantifi care penso di avere perso un 20% di tiro, di stacco di testa, il cuore del mio gioco. Per tornare in una buona condizione ci ho messo un anno e mezzo.

 

A rivedere le sue partite quello che impressiona è il coraggio,la voglia di battersi. Un’attitudine che gli attaccanti di oggi sembrano avere perso…

Una volta se volevi fare gol dovevi non avere paura di entrare in area di rigore, accettare la battaglia con il tuo marcatore che poteva anche essere alto due metri e potente o piccolo e cattivo. Non potevi temere nessuno. Dopo il tuo marcatore trovavi il libero che era lì proprio per stenderti e prima o poi ti pigliava.

 

Ci ha raccontato Boninsegna che dopo una serie di interventi rudi, è capitato che voi vi guardaste come a dire: ora questo lo mettiamo in mezzo…

Confermo. Soprattutto sui calci piazzati e sui corner non si guardava la palla ma ci si interessava di più all’uomo. Tentavamo di metterlo in difficoltà. Erano tempi di battaglie, tempi molto differenti da oggi.

 

In Nazionale ha giocato anche infortunato. Nel ’73 è sceso in campo a Roma con il Brasile con una contrattura e ha pure segnato…

È vero ma era l’inizio di una contrattura e poi ho giocato solo un tempo. Mi è arrivata una palla buona su una corta respinta del portiere Leão e ho fatto gol. E la partita successiva con l’Inghilterra a Torino l’ho saltata.

 

Qual è il gol in Nazionale a cui è più affezionato?

Per importanza non posso non citare la rete che ha sbloccato il risultato nella fi nale con la Jugoslavia agli Europei del ’68. Per bellezza penso al gol fatto alla Germania Est a Napoli durante le qualificazioni mondiali del ’70, in tuffo di testa. Mi piace perché avevo trovato il tempo giusto più che su un cross su un mezzo tiro proveniente da destra da parte di Domenghini. Una botta che cercava la deviazione e che sono riuscito a impattare bene con la fronte, tuffandomi in avanti.

 

 

Con le regole di oggi Gigi Riva farebbe 40 gol a stagione…

Certo qualche rete in più la farei. Oggi tutti i falli che subivo sarebbero da ammonizione o espulsione. Per non parlare dei falli che non si vedevano. Allora c’era una sola telecamera e quello che accadeva in campo rimaneva invisibile. Gli attaccanti non erano minimamente tutelati. Infi ne bisognerebbe conteggiare anche quelle che una volta erano autoreti e oggi vengono date a chi tira in porta.

 

Il record delle 35 reti che effetto le fece allora? E che ne pensa oggi?

Devo dire che me lo sono goduto per quarant’anni, ma da sportivo credo che i record siano fatti per essere battuti. Ai tempi l’avevo cercato con caparbietà, senza però che diventasse un’ossessione. Rimane il rammarico per l’incidente che mi ha impedito di giocare molte altre partite e magari di segnare qualche gol in più.

 

Rombo di Tuono di Roberto Freno (olio su pastello)
Rombo di Tuono
di Roberto Freno
(olio su pastello)