Il valore della materia grezza in Era meglio domani di Hinde Boujemaa sul VOD di Cineclub Internazionale

Hinde Boujemaa si sarebbe fatta conoscere al festival di Torino 2019 con Le Rêve de Noura un film che se non brillava per originalità, aveva il pregio di una sincerità di fondo nel descrivere i disagi e le paure di una donna tunisina che intrattiene una relazione extraconiugale e il cui marito fanatico religioso e violento, è appena uscito di galera. Nel 2012 la regista tunisina aveva, invece, realizzato questo It was better tomorrow (Era meglio domani). I due film trovano un filo comune nella riflessione sulla condizione femminile che spazia dalla protagonista semi barbona di questo suo esordio ad una condizione di lavoratrice di classe intermedia alla quale appartiene Noura. Entrambe le donne, in modo diverso e con differente approccio hanno a che fare con la legge come forma istituzionale che segna i rapporti di convivenza. Segno questo di una evidente trasversalità delle problematiche femminili in una società che, per quanto avanzata rispetto ad altre delle stesse regioni, resta ancorata ad un rapporto con la donna sempre tenacemente connesso all’accudimento familiare e ai suoi molteplici adempimenti. Le cose addirittura si complicano in Era meglio domani viste le condizioni in cui vive Aida la protagonista. Il film è distribuito da Cineclub internazionale ed è oggi visibile sulla piattaforma Vimeo on demand, in costanza della forzata vita casalinga degli spettatori. Si tratta di iniziative lodevoli che anche altre distribuzioni o cineteche hanno adottato viste le particolari contingenze.

 

 

Era meglio domani assomiglia ad un materiale grezzo e forse in questa sua ruvida consistenza risiede il maggiore interesse del film che racconta delle vicissitudini di Aida e di suo figlio Faouzi, tra sfratti, vita da strada, violenze domestiche, carcere, abusi sessuali da parte del padre quando era ragazzina, insomma un campionario non invidiabile che oggi si aggrava nel non ascolto delle sue domande alle istituzioni per ottenere una vita minimamente dignitosa. Dicevamo di questa materia grezza in cui si riconosce la volontà della regista di aderire quasi ad un naturalismo insistito in cui anche le sequenze familiari più drammatiche (il figlio che distrugge il televisore e altre simili) diventano palcoscenico per l’appunto naturale di un atteggiamento spontaneo e per nulla addomesticato dalla presenza, di per sé, invece, sempre ingombrante, della macchina da presa. Fanno parte di questa struttura del non finito e sul quale sembra che la regista non sia intervenuta per precisa scelta di campo, i silenzi, la naturalità dei dialoghi, i primi piani di Aida. In questa prospettiva il lavoro di Hinde Boujemaa diventa un esperimento condotto attraverso immagini forse non assolutamente originali, così come, purtroppo non è originale, per quanto profondamente dolorosa, la vita di Aida, ma alla regista tunisina sembra interessare, non solo la condizione femminile, qui estrema, interpretata dalla sua protagonista, ma, sotto un profilo più strettamente cinematografico, il grado di resistenza della macchina da presa davanti alla vita naturalisticamente ripresa, senza interventi, tagli o commenti.

 

 

È quindi anche sotto un profilo strettamente strutturale che il film assume il suo rilievo per l’estrema forma di verità che esibisce. La parte più difficile, in questa prospettiva è proprio quella di comunicazione con lo spettatore, in un’epoca di ricerca della perfezione e della essenzialità della sintesi. Si ritiene però che il pubblico di Era meglio domani sia avvezzo ad essere anche utilizzato quale destinatario di una sperimentazione visiva. È in questo materiale così scabro che Hinde Boujemaa ridisegna anche i confini della parallela rivoluzione che in quegli anni sconvolgeva, come in altri luoghi dell’Africa settentrionale, gli assetti politici che sembravano ormai consolidati. Ed è in questo parallelismo insistito che si ritrova quell’implicito giudizio che l’autrice, attraverso la drammatica storia di Aida, vuole dare anche di questi avvenimenti politici. Il rilievo che assumono, indubbiamente di livello e tali da mutare lo stato di cose e trasformare nel profondo i rapporti sociali, sembra però non riguardare la condizione femminile che, non muta al mutare delle politiche generali. Se vogliamo prova di questo è proprio la storia di Noura, nel film successivo dell’autrice, a dimostrare che in niente sarebbe stata differente se tutto fosse accaduto nel precedente regime politico. Ancora più lontana da ogni rivoluzione è la condizione di Aida che peraltro non è del tutto indifferente rispetto alla politica, avendo partecipato con convinzione alle prime elezioni libere che si tennero in Tunisia subito dopo la rivoluzione. È per queste ragioni che la storia di Aida diventa quasi dissonante con la rivoluzione politica che pur svolgendosi dentro la sua vita in nulla la cambia, restando del tutto indifferente il clima politico rispetto ai suoi bisogni. Diventa anche questo sperimentazione di una estraneità forzata alla quale è costretta Aida, di una esclusione sociale colpevole, di una disattenzione collettiva che sembra legare rivoluzione e condizione umana, naturalismo cinematografico e critica politica, sperimentazione e contingenze del presente in un film che nella sua materia non raffinata, sa contenere tutto, pur nelle slabbrature veniali di una verifica incerta che il film in fondo vuole essere.