Venerdì 15 dicembre a Roma, nell’ambito del Tertio Millennio Film Festival viene assegnato a Sul cinema e altre imperfezioni, raccolta di saggi di Ezio Alberione, l’RdC Award per il miglior libro di cinema 2017. Saranno presenti Monsignor Davide Milani, direttore della “Rivista del cinematografo”, la co-curatrice del volume Marì Alberione e Mauro Gervasini.
Non conoscevo la maggior parte degli scritti di Ezio Alberione contenuti nel volume Sul cinema e altre imperfezioni (Bietti Heterotopia, pp. 252, € 19), che raccoglie quelli scelti da Marì Alberione e Fabio Vittorini della vasta produzione, non solo pubblicistica, di uno dei critici cinematografici migliori della sua (mia) generazione, prematuramente scomparso nel 2006. Comincio questo articolo dopo avere concluso in particolare il saggio breve sul melodramma (In/compreso: tracce mélo nel cinema italiano dal 1960 a oggi) dal quale si evince una capacità di sintesi mossa dall’intuizione analitica, entrambe “ordinate” secondo una forma dizionaristica più vicina al modello Porro/Turroni di Il cinema vuol dire… che non a quello oggi di moda del Mereghetti. Se ne deduce un metodo, o meglio, un punto di vista. Ezio ha un’idea forte di cinema, dei riferimenti precisi, un mondo poetico di riferimento nell’ambito del quale elaborare percorsi e chiavi di lettura. Lo stile è una conseguenza dello sguardo: divulgativo ma mai elementare, complesso senza essere autoreferenziale. Limpido. Maneggia alcuni argomenti e alcuni autori (tra gli altri Walt Disney, Steven Spielberg e François Truffaut del quale, in un ampio saggio che invece ricordavo bene, rievoca la carriera di critico antecedente e parallela a quella di cineasta) con la vivacità e l’intelligenza di chi li ha studiati a fondo, prima di arrivare a una prospettiva propria. Leggendo ad esempio Cinema e sacro (sottotitolo: Di fronte al sacrificio dell’uomo e alla morte di Dio) sorprende come la contingenza dei “casi di studio” (nella fattispecie il cinema di M. Night Shyamalan e di Ciprì e Maresco) non risulti mai forzata ma del tutto pertinente in un approfondimento che tocca uno dei temi più ostici e affascinanti dell’interpretazione cinematografica: il trascendente. Il saggio su Robert Bresson (Cinema e parabole: quattro parabole di un sognatore) va a sua volta in questa direzione, riprendendo, ma anche confutando, l’approccio forse troppo laicista di studiosi bressoniani come René Prédal, ingaggiando quindi con le teorie consolidate una armoniosa battaglia delle idee. Perché ogni scritto di Ezio invita al confronto, ed è una cosa bellissima. Le sue parole non sono mai inerti, puoi non conoscere a fondo l’argomento o non essere d’accordo con lui, ma l’assenso o il dissenso hanno pari dignità nella spinta emotiva di ogni cinefilo (lui lo era all’ennesima potenza). A proposito di quel cinema verso il quale gli si riconosceva un’adesione quasi fisica, oggi la voce di Ezio manca tantissimo. Mi è capitato di pensarlo dopo avere visto Silence di Martin Scorsese. Senza il suo punto di vista è come se la stessa esperienza di visione fosse incompleta. Ancora credo che di questo film, che lui avrebbe molto amato, mi sia preclusa quella chiave d’ingresso che soltanto Ezio avrebbe potuto suggerirmi. Sul cinema e altre imperfezioni restituisce l’esempio di una scrittura che adesso è memoria, invitando a renderla condivisa con la lettura e la riflessione. Si rivolge a chi è convinto che anche attraverso un libro “di critica” si possa alimentare il piacere del cinema.