Sparala ancora, Frank – 50 anni di Punitore: il difficile rapporto di Frank Castle con il soprannaturale

Uno dei personaggi più iconici di Marvel Comics non è un supereroe. Frank Castiglione, naturalizzato Castle, è un veterano di guerra che, insieme alla sua famiglia, finisce in mezzo al fuoco incrociato di due fazioni di criminali vedendo morire sotto i suoi occhi moglie e figli. L’ex marine, devastato dalla perdita, assume l’identità del Punitore dichiarando una guerra senza quartiere al mondo del crimine in toto. Nato sulle pagine di The Amazing Spiderman nel 1974 come avversario dell’Uomo Ragno, The Punisher  (creato da Gerry Conway, Ross Andru, John Romita Sr.) ha conquistato i lettori Marvel comparendo sempre più spesso come ospite delle testate della casa delle idee fino a guadagnarsi una serie tutta sua nel 1986 (a cui il suo nome di battaglia dà il titolo) affiancata negli anni da diverse altre (Punisher War Zone e Punisher War Journal su tutte). Verso il finire degli anni ’90, il personaggio ha subito un declino che ha portato Marvel Comics a sperimentare una nuova, controversa idea che, nel tempo, ha dato vita ad alcuni dei punti più bassi dell’ormai mezzo secolo di carriera di Frank Castle (ma anche una delle miniserie più interessanti, va detto) mescolando le atmosfere ruvide e violente della guerra urbana con… il sovrannaturale. Un rapporto, quello fra il Punitore e l’ultra terreno, che si rivelerà fin da subito tutt’altro che facile. E qui giungiamo, tra il 1998 e il 1999, a una delle versioni più imbarazzanti del personaggio: il Punitore angelico. L’imprinting di cui fa parte la miniserie che lo vede protagonista, The Punisher: Purgatory, è Marvel Knights, una linea che rilegge alcuni dei personaggi della Casa delle Idee con un taglio più maturo e autoriale.

 

 

Di non trascurabile calibro sono infatti gli artisti coinvolti nel team creativo, tra cui due mostri sacri come Berni Wrightson e Joe Jusko che, illustrando i testi di Christopher Golden e Thomas Sniegoski danno vita a un Punisher che, dopo essersi suicidato in un vicolo, viene resuscitato in veste di angelo vendicatore e dotato di poteri divini tra cui la capacità di evocare armi da fuoco mistiche e un sigillo sulla fronte che testimonia le sue nuove origini. La miniserie tuttavia non convince, l’impasto di elementi tanto diversi fra loro fa l’effetto del sale nel caffè, complice una colorazione al computer molto trendy ma inutilmente sparata sugli effetti luminosi. Un tentativo di salvare il personaggio viene fatto affiancandolo a un’altra icona della Casa delle Idee, Wolverine, nella miniserie Wolverine/The Punisher: Revelations, ambientata nei tunnel sotto New York e affidata, per quanto riguarda i disegni, ai fratelli Pat e Alvin Lee, una coppia di illustratori dallo stile vicino ai manga, all’epoca inspiegabilmente in voga vista la modesta qualità del loro lavoro. La scrittura, qui affidata al solo Sniegoski, è se possibile più debole di quella di Purgatory. Il disastro è servito e l’aspetto positivo è che su questa versione del Punitore è stata messa una pietra tombale con annessa damnatio memoriae. Una decina d’anni dopo, tra il 2008 e il 2009, l’universo fumettistico Marvel è nel pieno di Dark Reign, un mega evento che ha coinvolto tutti gli eroi della Casa delle Idee uniti contro un Norman Osborn, l’uomo dietro la maschera del villain Green Goblin, che ha preso le redini dell’agenzia di sicurezza S.H.I.E.L.D., un tempo guidata da Nick Fury, per trasformarla in H.A.M.M.E.R. e imporre il proprio pugno di ferro.

 

La serie firmata da Garth Ennis e Steve Dillon

 

Il Punitore, ça va sans dire, è uno degli eroi che resiste strenuamente al regno di terrore di Osborn che, in tutta risposta, gli sguinzaglia contro Daken, il figlio di Wolverine che, con poteri non dissimili da quelli del padre, gli dà una caccia spietata e finisce per farlo a brandelli al termine di una fuga senza speranza. I pezzi del cadavere del Punitore vengono ritrovati dalla Legione dei Mostri (sic) che ricompongono il corpo perché venga resuscitato da Morbius il vampiro vivente. Il risultato è Franken-Castle (sic), la citazione è ovvia e il character design è tale che non si capisce se è venuto male o è una parodia che non fa ridere. Fatto sta che il nome di questa rediviva creatura della notte era arrivato a modificare il titolo della testata che la ospitava. Fortunatamente, dopo aver risolto i suoi conti con Daken, il Punitore è stato riportato al suo stato di essere umano da un artefatto magico, la Bloodstone, e anche il mash up con Mary Shelley è pronto per il dimenticatoio. La terza volta si dice sia quella buona, ed è così che nel 2022 The Punisher, nella nuova omonima serie, diventa il capo della Mano, una setta dei ninja assassini che da anni tormenta gli eroi Marvel. E qui, c’è da dirlo, finalmente l’alchimia riesce. Complice la scrittura solida di un veterano come Stuart Immonen, che non perde di vista i demoni interiori che definiscono l’uomo Frank Castle, l’arco narrativo The King of Killers racconta un Punitore che solo in apparenza usa la Mano per i suoi scopi per poi rendersi conto che a tirare i fili non è lui grazie anche alla resurrezione della moglie usata per manipolarlo.

 

 

La trasformazione di Castle da antieroe a villain segue una caratterizzazione funzionale e il look del protagonista è centrato, cambiato quanto basta con una katana che si aggiunge al suo armamento e un oni giapponese stilizzato al posto del caratteristico teschio che per quarantotto anni ha campeggiato sulla sua classica tuta nera. In cinquant’anni di storia editoriale The Punisher ha conosciuto tanti alti e tanti bassi, ma, nel complesso, si qualifica come classico del fumetto proprio in quanto resiste al tempo rimanendo scolpito nell’inconscio di una nazione, l’America, di cui rappresenta alcune delle pulsioni più profonde. Oggi, ma ci fermiamo qui per evitare spoiler, un nuovo Punitore pattuglia le strade. Un vigilante diverso, ancora tutto da raccontare. Cinquanta di questi anni, Frank.