Tra noi e la giungla: Broken di Don Winslow

Sul fatto che Don Winslow sia il più grande scrittore di crime in attività non penso ci possa essere discussione (soprattutto dopo che Ellroy ha imboccato un imbarazzante viale del tramonto dove rifà il verso a se stesso: dopo Sei pezzi da mille si è eclissato nella maniera). Con Broken (HarperCollins pag.535, euro 20), Winslow dimostra di essere un fuoriclasse anche sulla breve distanza. La sua innarrivabile potenza in saghe come quella dedicata a Art Keller (Il potere del cane -The Power of the Dog, 2005), Il cartello (The Cartel, 2015) e Il confine (The Border, 2019) riesce a sposare il piacere del testo che emerge fra dialoghi sparati come proiettili, una elettricità narrativa mai vista, una nuvola condensata di riflessi romanzeschi (e di genere). In una recente intervista a Criminal Element ha spiegato:”Per la maggior parte degli ultimi vent’anni, ho gestito maratone letterarie, per così dire. Romanzi lunghi di portata epica e l’ho adorato”.  Per questo Winslow aveva in mente delle storie che, sebbene non epiche, avessero sostanza: “Volevo provare a correre quella media distanza. I lavori di Broken si svolgono in un luogo solo nel corso di diversi giorni o settimane, mi interessava lavorare a quel tipo di concentrazione pur avendo lo spazio per esplorare i personaggi”. Broken propone sei romanzi brevi che hanno il grande merito di portarci fuori dalla mitologia del genere che gioca a rifare se stesso, che si specchia nei fragili schemi della reviviscenza, si chiami variante, rivisitazione, aggiornamento. Qui non c’è nessun strabismo della nostalgia, ma un soprassalto di autentica vitalità. Un affresco sull’America di Trump è la base sulla quale l’autore di Corruzione (The Force, 2017) ha deciso di raccontare criminalità, razzismo, brutalità poliziesca, disoccupazione, traffico di droga. Winslow è tra noi e la giungla. Broken, il romanzo che apre il volume, è una storia di vendetta. Una madre centralinista della polizia, due figli sbirri: uno muore, l’altro si trasforma in giustiziere, con la benedizione di mamma:”Uccidili tutti. Uccidi tutti quelli che hanno ucciso il mio Danny”. La vicenda è ambientata a New Orleans e per la prima volta la città (dove è nata sua madre) entra nell’immaginario dello scrittore. Ed è una metropoli umbratile e disperata. Con agenti che sono bombe innescate:”Il lato più negativo del mestiere del poliziotto è che arrivi a detestare tutti eccetto i tuoi colleghi”.

 

Highway 101

 

Con Rapina sulla 101 si tira il fiato. Il romanzo è dedicato a Steve McQueen (“sono sempre stato un grande fan di Steve McQueen, la personificazione della California cool, e mi chiedevo da tempo cosa sarebbe successo se avessi avuto un personaggio che ha modellato la propria vita su di lui”). Un ladro che risponde a codici di comportamento, un po’ come fanno i personaggi di Michael Mann: “mi piacciono i ladri onesti e diretti, meglio dei criminali disonesti di Wall Street o del Congresso”. Lo zoo di San Diego è un atto d’amore nei confronti di Elmore Leonard. E non si può non concordare con Stephen King:”Ha il miglior incipit di sempre: Nessuno sa come ha fatto lo scimpanzé a prendere la pistola”. In Sunset (dedicato a un padre come Raymond Chandler) e in Paradise c’è il richiamo in servizio di vecchie (e amate dai lettori) conoscenze: nel primo Boone Daniels e la pattuglia dell’alba sono sulle tracce di Terry Maddux, fuoriclasse del surf e pericolo criminale che non si è presentato all’udienza fissata dal giudice; nel secondo Ben, Chon e O (I re del mondo -The Kings of Cool, 2012 e Le belve – Savages, 2011) sono in vacanza alle Hawaii ma non per questo tralasciano il loro business con la marijuana. C’è chi non gradisce ed è subito guerra…Gloriosi personaggi che tornano sul luogo del delitto per rendere conto di se stessi della loro tenace capacità di sopravvivenza. Si chiude con l’aspro L’ultima cavalcata, western pungente sulla disastrosa e miope politica dell’amministrazione Trump nei confronti del confine messicano. Calvin Strickland, agente di frontiera fra Stati Uniti e Messico decide di agire quando vede una bambina chiusa in gabbia:”Puoi chiamarlo come ti pare: centro di detenzione, centro di custodia, centro di prima accoglienza…Ma se un gruppo di persone sono rinchiuse dentro un recinto metallico, quella è una gabbia”.