Dai Deep Purple a Tchaikovsky. Da Nobody gonna take my car / I’m gonna race it to the ground, al celebre inizio del concerto per pianoforte e orchestra del compositore russo. Rievocata nel primo caso, ascoltata nel secondo, anche la musica è stata protagonista della penultima giornata di Tokyo 2020, velata della tristezza propria delle cose belle che finiscono. Ieri sera, quando sono entrato boccheggiando nell’Olympic Stadium (il caldo sì, ma soprattutto l’imperizia del debuttante nella tanto agognata metropolitana: ho sicuramente sbagliato fermata, perché ho dovuto camminare di buon passo per oltre mezz’ora…) sono stato accolto dai volontari con un calore (…) particolare, vale a dire dall’insistito sventolare di mani che appartiene a chi ci tiene a salutarti. Anche se non ti conosce – né tantomeno ti riconoscerebbe se un giorno per qualche stranezza del destino ti dovesse rincontrare – ma avendo trascorso una manciata di serate nel tuo stesso posto dove si celebrava una manifestazione straordinaria, sente che si è creato un legame. Gli ultimi due giorni a Pechino (nello scriverlo mi viene in mente 55 giorni a Pechino uno dei primi film che ho visto in un cinema all’aperto, esperienza iniziata con lo straziante Il cucciolo) erano stati davvero particolari da questo punto di vista: ai congedi con le lacrime agli occhi, frequentemente si abbinava la consegna di bigliettini colorati che ringraziavano per aver visitato il loro Paese.
Il passaggio successivo é stato il faticoso approdo all’Olympic Stadium per l’ultima serata di atletica che è iniziata con le premiazioni dei vincitori della staffetta veloce disputata in chiusura di venerdì e dunque con le note dell’inno di Mameli, cantato a squarciagola dal manipolo di atlete e atleti italiani non ancora rimpatriati (il turnover nel Villaggio Olimpico è a dir poco frenetico). La serata ha regalato al solito emozioni e prestazioni di livello. Gli unici italiani in gara, i maschi delle 4×400, ultima gara in pista di questi Giochi, hanno migliorato di un altro decimo (2’58”81) il record stabilito in batteria, pur classificandosi al settimo posto. Sul tempo e sul piazzamento incide pesantemente il pasticcio dell’ultimo cambio, quando Scotti ha cercato un improbabile varco alla corda, mentre Sibilio lo attendeva sull’ottava corsia, quella assegnata agli azzurri. L’inevitabile slalom per consegnare il testimone é costato almeno mezzo secondo oltre che la definitiva esclusione dalla lotta per le medaglie, che ha determinato il rallentamento dello specialista degli ostacoli negli ultimi metri. Ne consegue che l’Italia avrebbe potuto concludere intorno ai 2’58” netti, se non addirittura sotto. E questo é da considerarsi valore di una staffetta che potrà prendersi una rivincita già nel 2022, quando saranno in calendario a luglio i mondiali di Eugene e il mese dopo gli Europei di Monaco. Per il resto la serata ha offerto il trionfo del ventenne norvegese Ingebrigtsen nei 1.500 a ritmo di record olimpico (3’28”32) propiziato dal ritmo da lepre tenuto dal campione del mondo in carica, il keniano Cheruyot. Detto della sorprendente affermazione dell’indiano Chepra nel giavellotto e del bis sui 10.000 dell’olandese Hassan, vincitrice dei 5.000 (e terza nei 1.500!), l’ultimo concorso é stato l’alto femminile, che ha registrato il successo con 2.04 della russa Lasitskene. Le ultime note a risuonare nell’Olympic Stadium sono così state quelle del concerto per pianoforte e orchestra di Tchaikovsky, che, non potendo utilizzare il proprio inno, gli atleti del Comitato olimpico russo hanno scelto come musica per accompagnare le premiazioni. Applausi, inchino, sipario.