Claudio Autelli: Confirmation, il cuore di tenebra dei giorni nostri (a teatro e in podcast)

Il “confirmation bias” in psicologia indica un pregiudizio cognitivo in base al quale si prediligono le informazioni che confermano le nostre convinzioni, scartando o ignorando le prove contrarie alle idee di partenza. Semplificando è un meccanismo che tende a dare maggiore credibilità alle idee che già abbiamo, soprattutto riguardo gli argomenti che toccano convinzioni radicate. Proprio da qui è partito Chris Thorpe per indagare l’estremismo politico, provando a confrontarsi con qualcuno agli antipodi dal suo pensiero, ovvero un estremista di destra, negazionista dell’Olocausto. Ne è scaturito Confirmation (vincitore dell’Edinburgh Fringe First 2014-2015, poi tradotto da Jacopo Gassman) che ora Claudio Autelli ha riadattato affidandolo all’interpretazione di Woody Neri. Oltre allo spettacolo teatrale, in scena al Teatro Litta di Milano dal 26 al 31 ottobre, Confirmation è anche un podcast disponibile sulla piattaforma Spreaker. Un testo molto forte, a maggior ragione in questo periodo, in cui, come dice Autelli nelle note di regia, «lo scavo nel diverso punto di vista diviene sempre più uno scavo in se stesso, fino a confondersi nell’altro, fino a far apparire l’oggetto di studio davanti a noi con vivida concretezza». Lo abbiamo intervistato.

 

 

Come mai hai sentito l’esigenza di portare in scena un testo così fortemente politico?

Da un lato l’idea di fare qualcosa di cosi cocentemente contemporaneo per chi fa questo lavoro non può che essere un bell’incontro, è una tematica che sento. A ciò si unisce il fatto che, come regista, cerco sempre dei materiali che abbiano al loro interno un potenziale di dispositivo linguistico non quotidiano. Al di là del tema politico in Confirmation c’è la possibilità di giocare su dei cortocircuiti linguistici. Mi riferisco al continuo salto laterale per associazione tematica che fa l’autore, così come l’introduzione di questo secondo personaggio, di come i due personaggi vadano a un certo punto a confondersi uno nell’altro… Tutti questi salti linguistici sono un bel materiale su cui lavorare anche a livello espressivo.

 

 

Che indicazioni hai dato a Woody Neri perfettamente calato in entrambi i ruoli?

Il punto di partenza è stato attraversare insieme il testo adattandolo a quello che è il proprio bagaglio e le proprie circostanze, quindi la situazione italiana. È il primo monologo che faccio ed è stato l’occasione di un percorso a due, di un dialogo tra regista e attore più diretto e coinvolgente. Sia io che Woody ci siamo resi conto che questo tema ci cambiava lo sguardo, e questo avveniva fuori dalla sala prove. Al di là della letteratura, siamo davvero tutti dentro questo sguardo pregiudiziale. L’aspetto interessante è che in realtà l’autore ci apparecchia una trappola: sarebbe fin troppo facile pensare che si sta facendo uno spettacolo per stanare le posizioni folli di un nazifascista, il tema non è lì, Thorpe utilizza questi due poli opposti per stanare il proprio bias di conferma, di benpensante, il paradigma dominante in Occidente. È molto interessante vedere come ci prepara questa trappola. Ha qualcosa di Cuore di tenebra.

 

Anche qui c’è un viaggio che dall’esterno ci porta dentro noi stessi…

Per quanto riguarda la struttura lo spettacolo inizia come se fosse una conferenza, in totale apertura con il pubblico e con il coinvolgimento attivo degli spettatori. Poi piano piano si entra in questo percorso più immedesimativo in cui l’attore finisce per prendere anche il posto dell’estremista…

 

 

Come già in altre tue regie, ti avvali di diversi tipi di media.

È una regia che gioca con i linguaggi e con il multimediale. Senza anticipare troppo, però per me anche l’inizio è linguisticamente politico, c’è uno spettacolo nello spettacolo che viene interrotto. Venendo da un periodo in cui si è parlato molto del teatro in streaming mi sembrava interessante iniziare ludicamente in questo modo. Ci sono tutta una serie di dispositivi multimediali messi in atto, mentre lo stilema originario dell’autore era quello dell’agorà con il contatto diretto del pubblico. Ovviamente noi avevamo anche del circostanze diverse che ci impedivano, in epoca Covid, di interagire con il pubblico.

 

Parliamo del podcast che ha una vita parallela ma anche autonoma rispetto allo spettacolo teatrale.

Questo lavoro è frutto di una triangolazione: io, Woody Neri e Gianluca Agostini che è il nostro sound designer affezionato. Insieme a lui abbiamo progettato il podcast pensando di adattarlo allo strumento radiofonico. Abbiamo quindi cercato di tradurre il testo per questo medium: se nello spettacolo è una conferenza, nel podcast diventa un programma radiofonico per cui, per esempio, le interlocuzioni con il pubblico sono i messaggi whatsapp arrivati in radio… È un altro linguaggio, molto affascinante.

 

Milano           Teatro Litta            fino al 31 ottobre