Pesaro 55: le vie del sale del Nuovo Cinema

La via del sale del Cinema Nuovo passa notoriamente da Pesaro, percorso privilegiato di svariate funzioni del filmare: un tempo più politiche, poi via via più estetiche, informative, conoscitive, interattive… Pesaro 55 – che, iniziato il 15, si svolge sino al 22 – tiene fede a queste storiche premesse, facendo i conti col presente. Programma variegato, innesti di coordinate geografiche e di genere: le cineaste russe e quelle spagnole in due sezioni informative specifiche, che dialogano con le lezioni di storia del/per un altro cinema di Federico Rossin, dedicate appunto all’eredità dell’avanguardia femminista degli anni ’70, e con la personale di Lee Anne Schmitt curata da Rinaldo Censi, notevolissima sperimentatrice americana di geografie visive (torneremo a parlarne). Intanto la “riserva indiana” di Fuori Orario sta nei suoi magnifici (e ossessivi) 30 anni di cose (mai) viste, celebrate in schegge e programmi sperimentali (RAI) assieme a enrico ghezzi, mentre in spiaggia (sulla “croisette” pesarese: ma stasera le Sette note in nero di Fulci hanno giustamente l’onore del Teatro Sperimentale…) si celebra il cinema di genere in Italia “Ieri, oggi e domani”, come da titolo dell’evento speciale curato dal direttore Pedro Armocida assieme a Boris Sollazzo, che ha l’onore del classico libro Marsilio pesarese (350 pagine di saggi e materiali vari). E qui sono i 20 anni di Stracult siglati Marco Giusti a essere celebrati. In apertura un’immagine tratta da Demons di Daniel Hui.

 

Sette note in nero

 

Il controcampo lo offre l’immancabile furore visivo di Alberto Grifi, antinume delle visioni italiane, che al Centro Arti Visive in Pescheria spadroneggia splendidamente in una esposizione integrale di tutti i materiali video analogici open reel, realizzati da Grifi assieme ad altri tra il 1976 e il 1977. La pulsione di riferimento è quella innescata nella Mostra del Nuovo Cinema pesarese dalla sezione Satellite, che materializza le sue visioni per un cinema futuro nella francescana Sala Pasolini (ma da quest’anno non solo lì). È qui che sono passati i 215 minuti di Non c’è nessuna dark side di Erik Negro, progetto lungo 12 anni (dal 2007 ad oggi) e oltre 400 ore di filmato “con qualsiasi camera e in qualsiasi formato, attraverso qualsiasi anima si potesse posare davanti all’obiettivo”. Ed è qui che si sono visti anche i 31 minuti di Oggi sono passato (e tu non c’eri), magnifico pezzo di quei formidabili scardinatori di sicurezze concettualmente assunte che sono i catanesi di Canecapovolto: la materia trae spunto dal lavoro dell’artista visuale e musicista Elisa Abela per cercare il solito baricentro perturbante del collettivo catanese, sospeso sul contrasto tra conscio e inconscio, tra veglia e onirismo, consapevolezza e obnubilamento. Come sempre si tratta di smantellare i presupposti logici delle emozioni e instillare nella visione critica sociale il germe della manipolazione perturbante, come fosse un atto politico lontano dalla tentazione reclamatoria: lavorare sul dissidio tra senso e parola, sull’alterità, sull’egotismo, sulle smarginature della condivisione dello spazio, sulla messaggistica di ritorno autistico, significa lavorare su cose politicamente centrali nella scena attuale. E poi c’è il Concorso Pesaro Nuovo Cinema, che ieri ha proposto Demons di Daniel Hui, horror metafisico e metaironico da Singapore, riflessione sul rapporto tra arte e possessione, ovvero sul cannibalismo dell’artista che manipola la realtà e i viventi nella presunzione di cercare il Bello. La storia è quella di un regista teatrale che scopre il lato oscuro del suo essere quando entra in reazione con una giovane attrice dalla quale pretende performance psicologicamente estreme. Il film incede progressivamente nella formulazione di un horror metafisico, spingendo l’artista nelle spire di una setta diabolica che rivela la sua spiritualità corrotta. Daniel Hui maneggia formati e stili differenti, si muove in una ricerca visiva che però non supera una certa ingenuità, voluta ma anche subita. Dalla quale emerge più che altro un senso di fragilità espressiva che vorrebbe essere forma estetica del tema, senza tuttavia riuscire nel suo scopo.

Oggi sono passato (e tu non c’eri)