Pinocchio di Antonio Latella, la favola si fa incubo

Comincia con un parto il Pinocchio messo in scena da Antonio Latella. La Fata Turchina chiede insistentemente al pezzo da catasta se vuole proprio venire al mondo. È lei il deus ex machina che permette lo svolgersi degli eventi: da lì, il pezzo di legno passerà nelle mani di Mastro Ciliegia per arrivare in quelle di Geppetto, tenendo però sempre ben presente che «Pinocchio non è vostro, è di tutti quelli che lo vogliono». Ed è questo il primo aspetto interessante di uno spettacolo denso di rimandi e di significati. Intanto, come viene ripetuto in più occasioni, Pinocchio è una cosa, non una persona e questa lettura sembra in qualche modo rievocare A.I. – Intelligenza artificiale di Steven Spielberg in cui il mecha David, bambino artificiale capace di amare, vorrebbe diventare orga, ovvero bambino reale, ma è destinato a rimanere robot.

Il primo atto dello spettacolo di Latella, che ripercorre in maniera estremamente fedele i primi quindici capitoli del libro di Collodi, è all’insegna dell’energia e della vitalità: Pinocchio non vuole saperne di dormire (forse per non crescere, come Peter Pan) e preferisce andare alla scoperta del mondo, nonostante Geppetto cerchi di impedirglielo («Non andare là fuori, là fuori c’è gente, la gente non ci sente»). La storia è nota: schiaccia il Grillo Parlante che lo ammonisce sul destino dei ragazzi che non rispettano i genitori; si brucia i piedi; vende l’abbecedario per assistere allo spettacolo dei Gran Burattini; rischia di finire nel fuoco, ma riesce a muovere a compassione Mangiafoco che non solo lo risparmia, ma gli regala pure cinque monete d’oro. Sulla strada del ritorno a casa incontra, però, il Gatto e la Volpe che prima lo circuiscono, e poi lo aggrediscono, travestiti da assassini e lo impiccano. Si chiude qui la prima parte dello spettacolo che è in qualche modo propedeutica alla seconda: in più di un’occasione Pinocchio, nel primo atto, pronuncia le parole «Per me si va…» lasciando un momento di sospensione e concludendo con vari luoghi («fora», «a scola»…). Tutto quello che di festoso e di esplosivo a livello di energia c’era – dai numerosi calembour verbali ai movimenti frenetici dei personaggi in scena – è destinato a scomparire. La porta-gong di metallo è quella che fa entrare personaggi e spettatori nell’Ade. Siamo ora «nella città dolente», «ne l’etterno dolore», «tra la perduta gente», l’atmosfera giocosa della fiaba è annullata e si entra nell’incubo. È un trionfo di animali imbalsamati perché non c’è vita, è «il mondo dei morti, degli storti, dei non finiti», in cui la Fata Turchina rivela il suo vero volto: è una bambina morta che si ritrova vecchia e con il desiderio di un figlio (ha fatto nascere Pinocchio per puro egoismo). Pinocchio vive il suo sfogo adolescenziale, un’imprevista e violenta scarica di parolacce contro tutti e contro tutto e di imprecazioni contro il burattinaio che lo ha creato. Una rivolta contro i suoi simili e contro Dio. Questo è il mondo in cui si manifesta anche Romeo, ovvero Lucignolo, proiezione schizofrenica di Pinocchio, che lo conduce nel paese dei balocchi che altro non è se non un inferno per chi vi capita, dove i ragazzi sono carne da macello in senso letterale (e anche qui il rimando alla “Fiera della carne” spielberghiana non sembra campato in aria): vengono sfruttati, anche sessualmente, fino a quando possono servire e poi gettati via. In questo mondo di menzogne, anche l’incontro con il padre è destinato ad avvenire sotto una cattiva stella. Nel Pinocchio di Latella non c’è possibilità di lieto fine: siamo distanti anni luce da Disney e da Comencini.

 

Su un palco su cui incombe un enorme tronco di legno sospeso, gli attori (notevole l’interpretazione di Christian La Rosa, un Pinocchio che non si risparmia, ma tutto il cast è da applausi: Michele Andrei, Anna Coppola, Stefano Laguni, Christian La Rosa, Fabio Pasquini, Marta Pizzigallo, Massimiliano Speziani e il musico Matteo Pennese) sono costantemente in scena, entrando e uscendo dai vari personaggi a cui danno vita. Sotto una quasi costante nevicata di trucioli di segatura (alla lunga stordente e ipnotica), Latella – autore della drammaturgia con Federico Bellini e Linda Dalisi – non concede nulla allo spettatore e opta per una chiave ipernaturalistica in cui rivela la sua poetica. Notevole la tirata di Mangiafoco sull’arte dell’attore: il capocomico rivendica la necessità di «andare a braccio e non a memoria», e mentre per i suoi Burattini il teatro è «il personaggio», lui si infervora perché, dice, «il personaggio non esiste, ha le pustole», non ha senso “cercare il personaggio”. Va vista in quest’ottica anche la scelta di Latella di svelare i trucchi che stanno dietro alla “fabbrica dei sogni”. Una chiara presa di posizione, tanto più che nessuna consolazione è possibile e la favola vira all’horror. Ed è proprio qui che sta il fascino e la grandezza del suo Pinocchio.

 

foto di Brunella Giolivo

 

Milano      Piccolo Teatro Strehler         7-18 novembre

Bologna     Arena del Sole                         5-7 gennaio 2018