Il Piccolo Teatro festeggia i 70 anni di attività e lo fa rendendo omaggio a un maestro: Louis Jouvet, uno dei più grandi attori e registi francesi del Novecento, attivo a teatro e al cinema, morto a Parigi nel 1951 a 64 anni. Già per il quarantesimo anniversario Giorgio Strehler aveva scelto di mettere in scena Elvira o la passione teatrale (che debuttò il 30 giugno 1986) con la seguente motivazione: «È questo […], per noi, uno spettacolo emblematico, un’indagine sulla moralità del gesto teatrale, un atto d’amore per uno dei nostri maestri, ma nello stesso tempo anche la testimonianza di un legame profondo con il lavoro che stiamo svolgendo per la nostra Scuola: del tutto coerente, del tutto inserito, quindi, nel discorso sul teatro e sull’uomo che andiamo facendo dal 1947 ad oggi». Sono passati trent’anni e ora è Toni Servillo, nella duplice veste di regista e interprete, a portare in scena Elvira. Il testo risale al 1986 ed è la riscrittura operata da Brigitte Jaques di sette lezioni (qui nella nuova traduzione di Giuseppe Montesanto) che Louis Jouvet tenne a Claudia, una sua giovane allieva, su come interpretare Elvira nella seconda scena del Don Giovanni di Molière. Le lezioni si svolgono al Conservatoire d’Art Dramatique di Parigi: le prime quattro a distanza di qualche giorno una dall’altra, dal 14 al 28 febbraio 1940; segue un intervallo di alcuni mesi che ci porta al 18 maggio (quinta lezione), per poi passare al 10 settembre e, infine, al 21 settembre 1940, data della settima e ultima lezione. La scena in questione – che Jouvet considerava un miracolo della lingua francese – è quella dell’addio di Elvira al suo ex amante e viene sviscerata nei minimi dettagli perché il risultato deve essere «bouleversant», sconvolgente. Servillo restituisce un Jouvet animato dal fuoco della passione, estremamente convincente anche se, di tanto in tanto, il consumato attore prende il sopravvento e viene meno la «necessità interiore» di cui parla Jouvet.
La messinscena prevede il coinvolgimento della platea dove gli attori lasciano i loro cappotti per salire in scena e dove, talvolta, scende il maestro per osservare la prova. Particolarmente efficace la scelta registica di rendere il personaggio Jouvet parte integrante del teatro, tanto che sembra letteralmente abitarlo (e infatti lo vediamo prendere cappello e cappotto, ma lasciare la scena dalla parte opposta rispetto agli allievi convocati alle prove, come se non abbandonasse mai davvero quel luogo, ma si rifugiasse dietro le quinte). Servillo rimane fedele all’originale anche nella scelta dell’attrice che interpreta Claudia. Si tratta di Petra Valentini, vent’anni, da poco diplomata alla Scuola Paolo Grassi, giusta per il ruolo, ma non particolarmente incisiva (Strehler aveva affidato il ruolo alla grande Giulia Lazzarini, mentre lui stesso impersonava Jouvet). In scena anche Francesco Marino e Davide Cirri, i due allievi che poi vestiranno i panni di Don Giovanni e Sganarello. Non si tratta di un testo per addetti ai lavori, ma di una lezione di vita in cui si parla di arte, di passione, del ruolo che si è chiamati a giocare, dello sdoppiamento persona-personaggio (con un effetto di mise en abyme: l’attrice interpreta un personaggio che fa l’attrice che a sua volta dà vita a un personaggio letterario), del rapporto padri-figli attraverso il confronto generazionale tra maestro e allieva, ma anche della Storia che bussa alle porte del teatro: il 10 maggio 1940 ha, infatti, inizio la campagna di Francia e il 14 giugno i nazisti entrano a Parigi, issando la svastica sulla Tour Eiffel. Ma le lezioni continuano nonostante tutto come se davvero l’arte fosse l’unico baluardo davanti alla barbarie. Ieri come oggi.
L’omaggio Louis Jouvet continua anche al cinema. Maurizio Porro cura la rassegna che, dal 7 al 9 novembre, all’Anteo SpazioCinema presenta:
Knock ou le triomphe de la médecine (Roger Goupillières, 1933)
La Marsigliese (Jean Renoir, 1938)
Hôtel du Nord (Marcel Carné, 1938)
Verso la vita (Jean Renoir, 1936)
Tra le undici e mezzanotte (Henri Decoin, 1948)
I prigionieri del sogno (Julien Duvivier, 1939)
Milano Piccolo Teatro Grassi fino al 18 dicembre