È arrivato alla conclusione il 64esimo Festival della Montagna di Trento, dopo la proclamazione dei vincitori della Genziane, avvenuta nella giornata di sabato 7 maggio. La qualità di una kermesse – che peraltro non esaurisce la sua spinta propulsiva nella proposta cinematografica, ma si allarga a diversi settori culturali e tecnici che mettono comunque al centro dell’attenzione la montagna – si vede da quello che presenta e da ciò che sceglie di premiare. Ebbene, in tal senso quella trentina si conferma una rassegna cinematografica di qualità, tra le più interessanti del panorama italiano: 108 opere di buon livello, di cui 23 in concorso, messe a disposizione del pubblico, con netta prevalenza dell’impronta documentaristica, ma anche con incursioni nel biopic o, più in generale, nella fiction. Il palmarès dice amaro per gli italiani (che nei lungometraggi erano in gara soltanto con Il Solengo di Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis), ma i premi paiono assolutamente azzeccati. Vincitore assoluto La montagne magique, diretto dalla rumena Anca Damian (Genziana d’Oro per il miglior film): un’opera stilisticamente esplosiva, con innovative tecniche di animazione mescolate a immagini reali per raccontare la vicenda umana di Adam Jacek Winkler, scalatore, fotografo e attivista politico, che combattè in Afghanistan negli anni Ottanta contro l’invasione sovietica, al fianco del leggendario Massoud. (Nell’immagine sopra La montagne magique).
Presenta invece sbavature sul piano formale, ampiamente compensate tuttavia da una messa in scena genuina e da una splendida fotografia, K 2 – Touching the Sky, che avevamo indicato tra i migliori visti in rassegna e consideravamo tra i favoriti per un premio. L’opera (ampiamente autobiografica) della polacca Eliza Kubarska si è infatti aggiudicata la Genziana d’Oro per il miglior film d’alpinismo (riconoscimento voluto dal CAI): offre una prospettiva inedita della montagna, muovendo da un interrogativo esistenziale non da poco: è possibile conciliare la scelta di diventare genitori con i rischi (e i tempi) dell’alpinismo? Lo sviluppo del film si dipana a partire da un trekking al campo base della seconda cima più alta del mondo da parte di un gruppo di escursionisti che hanno in comune la tragica fine di un genitore proprio sul K2. La Genziana d’Oro per il miglior film d’esplorazione è stata invece assegnata a Great Alone, opera made in USA diretta da Greg Kohs, celebre per la qualità dei suoi lavori e per l’alto numero di premi vinti in carriera: narra la storia di Lance Mackey, figlio di uno dei fondatori della mitica Iditarod Trail, che sconfiggendo un tumore e mille difficoltà di partenza è riuscito nell’impresa di aggiudicarsi per quattro volte consecutive la gara. I premi di consolazione (le Genziane d’Argento) sono invece andati al lungometraggio cinese Behemoth – esso pure nei nostri pronostici della vigilia – e al cortometraggio norvegese Last Base. Il primo è un rigoroso documentario diretto da Zhao Liang, che indaga con un marcato simbolismo ma pure con una fotografia superlativa i guasti provocati dall’uomo a paesaggi della Mongolia centrale che prima dell’intervento umano erano paradisiaci: già aveva rischiato di vincere a
Venezia 2015, e (forse) ora si guadagnerà una distribuzione italiana; il secondo, firmato da Aslak
Danbolt, è una storia di amicizia girata con ritmo e suspense, che ha al centro la pratica del “base
jumping”. Riconoscimenti decisamente meritati.