Ai Weiwei: Human Flow e l’uso limitato della realtà

L’artista dissidente cinese Ai Weiwei è in concorso a Venezia con un film sui migranti che ha visto il coinvolgimento di 22 Paesi e una troupe di 300 persone. Human Flow verrà distribuito nelle nostre sale, a partire dal 2 ottobre, da 01 Distribution. Ecco le dichiarazioni del regista durante la conferenza stampa.

 

Immersione e distanza

Quando si realizza un film come questo, ci si trova in una sorta di lotta costante, ci si mette in discussione continuamente, perché ci si chiede se si fa parte di questo flusso, di questa “marea umana”. Naturalmente bisogna farsi coinvolgere emotivamente, ma bisogna anche uscire dal film e guardarlo in una prospettiva diversa perché tu sei il cineasta, il regista, l’artista, quindi devi immergerti in questa realtà, ma anche metterti su un piano parallelo alla realtà stessa.

 

Una grande produzione

All’inizio non è stato concepito come una grande produzione, ho iniziato a girare con il telefonino, poi, per affrontare un tipo di situazione che richiedeva di investire sempre di più e di pianificare bene il lavoro perché non ci si può permettere una mancanza di coordinamento, le cose sono cambiate. È stato essenziale il supporto delle tante persone che ci hanno sostenuto.

 

Una soluzione è possibile

Secondo me la soluzione c’è perché ci troviamo di fronte a una tragedia umana che tutti noi abbiamo davanti agli occhi. Noi conosciamo la risposta. Se falliremo, però, riguarderà tutti perché siamo tutti collegati, l’umanità è un unicum. Se non ci focalizziamo su questo punto, possiamo parlare di geopolitica, di legislazioni locali, di problemi tecnici, ma così facendo non cogliamo nel segno perché è una questione che riguarda l’umanità, non solo i rifugiati, ma tutti noi. Il problema è che gli individui devono farsi coinvolgere, devono fare pressione sui politici, questa è secondo me la possibile soluzione. Tutto deve cominciare da noi.

 

L’impegno nella discussione pubblica

Tutte le società hanno il proprio establishment di natura politica o culturale o religiosa, ma la situazione è in via di sviluppo, sta cambiando rapidamente, soprattutto dopo l’introduzione di Internet, e queste strutture sono destinate a trasformarsi. Una società realmente democratica può produrre risultati imprevedibili. Se nella discussione pubblica cerchiamo di impegnarci, allora la gente potrà ripensare alle proprie strutture e reperirne una che riesca a impedire queste tragedie, queste sofferenze perché la situazione può raggiungere dimensioni ingestibili, ma potremmo arrivare, invece, a una società in cui tutti potranno trarre vantaggio dalla struttura in cui viviamo.

 

Arte visiva e cinema

Da artista lavoravo soprattutto come individuo per la realizzazione di opere d’arte in un contesto museale, era il modo in cui cercavo di accostarmi al mio pubblico, ma realizzare un film su larga scala, creare un’opera di questo tipo, comporta l’utilizzo di tutta un’industria che per me è completamente nuova. È un’esperienza assolutamente positiva perché gli esseri umani sono desiderosi di comunicare attraverso il cinema, la narrazione, è un bisogno interno dell’uomo, è parte della sua natura ascoltare una persona che narra una storia e sono estremamente lieto di essere stato coinvolto in questa esperienza.

 

Una lotta costante

Lavoro con i social media, Internet, la scultura, faccio installazioni, come artista realizzo delle performance e recentemente sono venuto a occuparmi anche della comunicazione, delle interviste, del cinema, sempre però come individuo. Sono un professionista e sento di avere la responsabilità di dover esercitare una pratica per cercare di scoprire qualche cosa. L’artista sa chi è, ma deve anche costantemente scoprirlo, mi trovo sempre nel mezzo di una sorta di ricerca, una lotta, necessaria per reperire un qualche significato.

 

Ogni film è una bugia

Siamo continuamente superati dalla realtà, è un fatto che va sempre preso in riconsiderazione, ci sono nuovi eventi nei telegiornali anche quando abbiamo appena finito di girare un film. Bisogna trovare, però, un linguaggio che sia correlato alla realtà, ma che non riguardi solo le cose che stiamo girando, deve anche sposare una prospettiva storica, oppure possiamo parlare di giudizio estetico. Allora il film deve stare in piedi prima e dopo la sua realizzazione. Ogni film secondo me è una bugia, anche un documentario come questo, mente sempre perché fa un uso limitato della realtà e rispecchia solo l’interpretazione limitata del regista e della troupe.