Anne Fontaine: l’uomo considera la donna un suo possesso

23Una donna medico francese (Lou De Laâge)  nella Polonia del 1945, aiuta un gruppo di suore violentate dai soldati sovietici. Alcune sono rimaste incinte e il dilemma è per tutti: il medico che dovrebbe denunciare la cosa, le suore che hanno fatto voto di castità e che si ritrovano madri, i polacchi i cui liberatori non si dimostrano molto differenti dai tedeschi, gli occupanti precedenti…Dietro la macchina da presa c’è Anne Fontaine, ottima sceneggiatrice di storie femminili come testimoniano Nathalie, Coco avant Chanel, Gemma Bovery, Two Mothers.

 

 

 
 
 
 
La violenza rimossa

Il film si ispira ai diari di Madeleine Pauliac, medico francese di 27 anni che nel 1945 era in Polonia, per occuparsi dei soldati francesi feriti. Nell’ospedale di Varsavia scoprì le donne violentate dai soldati russi e gli stupri collettivi nei conventi. Per oltre 40 anni tutto questo è rimasto nascosto, in Polonia. I miei collaboratori locali mi hanno raccontano che i casi furono diversi, ma nessuno ne parlava. In uno, 25 suore furono violentate, alcune anche 40 volte di seguito, 20 furono uccise e 5 rimasero incinte. Qualcuna delle mie attrici polacche l’ha scoperto leggendo la sceneggiatura.

 

Il Vaticano

 
È un film contro la violenza che deriva dal fatto che l’uomo considera la donna un suo possesso, un oggetto a cui e su cui dimostrare costantemente il proprio potere e ruolo dominante, in situazioni come la guerra ma non solo. Sulle donne e gli innocenti, come mi ha fatto notare un prete a cui l’ho fatto vedere… Il film è stato visto in Vaticano ed è piaciuto, anche nella sua parte più critica verso certe “leggi” della religione che sacrificano l’umanità delle persone.

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Il femminismo

 
Per me più che un film femminista è un film che racconta di come le donne sono ancora oggi considerate. Penso che Hillary Clinton abbia perso semplicemente perché è una donna, alla fine è stata quella la chiave che ha fatto decidere tanti americani: una donna più potente di me? Mai. Non faccio discorsi politici, non credo nel femminismo bellicoso, ma denuncio un dato di fatto. E racconto la solidarietà femminile: donne che si aiutano. Una regista donna, come il direttore della fotografia, il montatore, le sceneggiatrici.  Ma non credo che sarebbe stato un film diverso se la maggioranza fosse stata maschile. Probabilmente un uomo avrebbe inserito nel film dei flashback con le scene di violenza sessuale: io non ne ho sentito il bisogno, per me la violenza è stampata sui volti e nelle pance di quelle monache. Poi, però, io lavoro benissimo con un amico sceneggiatore come Pascal Bonitzer. E nel film la figura del medico di origine ebrea che entra nel convento cattolico per aiutare le suore incinte, dimostra che non generalizzo.
 

La lingua

 
Mi sono rifiutata di girare in inglese. Sul set avevamo un interprete, esattamente come accade nel film quando le suore che conoscono il francese aiutano le consorelle a comunicare con la dottoressa. Non è un esercizio di stile: volevo ritrarre delle donne vere, in tutte le loro diversità e difficoltà. Il francese allora era la lingua delle classi colte, e delle poche donne che avevano studiato, diverse da quelle nate in campagna…

 

Il titolo

 
Mi piace molto il titolo italiano ed era il primo a cui avevo pensato: poi la produzione ha deciso per l’altro (Les innocentes) che è rimasto in tutte le edizioni internazionali, tranne da voi. Questo è anche un film sulla religione, sulle sue regole “istituzionali”, sociali e personali: io sono cattolica e per documentarmi ho visitato monasteri, parlato con religiosi e religiose, anche con un analista “specializzato”, figura che esiste in certi ordini. Alla fine sono contenta che Agnus Dei sia un film “politico” e “spirituale” insieme. La frase chiave è quella di suor Maria che, a domandagnusdei3a del giovane medico, dice: “La fede sono 24 ore di dubbio per un minuto di speranza”. È l’idea della fragilità della fede, che mi hanno passato le suore con cui ho fatto per un po’ vita di comunità per documentarmi.