Baltasar Kormákur e il potere della montagna

everestIl 10 maggio 1996 una tempesta colse di sorpresa quattro spedizioni alpinistiche che si trovavano nei pressi della cima dell’Everest. Morirono 9 alpinisti, comprese due celebri guide. Da questa tragedia il regista islandese Baltasar Kormákur ha tratto Everest, film d’apertura a Venezia 72, interpretato da Jason Clarke, Jake Gyllenhall, Josh Brolin, John Hawkes, Emily Watson, Keira Knightley, Robin Wright.

 

Una storia collettiva

Fin dalla fase di scrittura ero conscio di volere fare un film sulla storia di un gruppo. I libri su questi fatti sono di solito scritti in prima persona, raccontano le sensazioni di un singolo. La nostra ambizione è stata cercare un sapore collettivo e contemporaneamente approfondire il raporto fra la guida e il cliente e interrogarci anche sulla sempre più proccupante commercializzazione dell’Everest e sul senso della competizione a 8mila metri.

 

Il tempo islandese

Dalla mia terra penso di avere portato con me la mia abitudine al cattivo tempo islandese. Quando andavo a scuola da bambino mi è capitato di avere a che fare con tempeste di neve che sembrava volessero soffiarmi via dalla strada. Durante la lavorazione non ci sono state situazioni di pericolo ma certamente di estremo disagio. Abbiamo girato anche a -60, in Nepal, grazie agli elicotteri siamo stati quasi al campo base, giravamo vicino al memoriale. Comunque la maggioranza dei set erano in Val Senales e qualcosa, poca roba, in studio. Il film è in 3D ma la computer graphic non ha assunto un grande rilievo.

 

Un equilibrio delicato

Abbiamo fatto tutto come se fosse vero. Avrei potuto usare più effetti speciali, ma desideravo raccontare il potere della montagna. Più si trae dalla realtà e più si dà il senso della realtà. Volevo che gli attori assorbissero gli spazi e il ritmo della natura. La nostra priorità era non santificare i personaggi, ma fare emergere la loro umanità. Sono persone vere che vivono le loro passioni. Bisognava trovare un equilibrio delicato, avere un atteggiamento esistenzialista che ci permettesse di mettere in scena una storia intima ed epica, lasciando per quanto possibile sullo sfondo l’esplosività scenica.

 

Jake Gyllenhall e Scott Fischer

In merito al ruolo di Scott Fischer, la guida morta durante la discesa, Jake Gyllenhall ha dichiarato di avere affrontato il film con grande attenzione e rispetto perché:” ti assumi una grande responsabilità quando devi ricreare qualcosa che è severest-1uccesso realmente. I figli di Scott mi hanno contattato perché erano preoccupati del tono che avrei potuto dare al personaggio. Io ho sentito lui attraverso i suoi figli, ho cercato, con rispetto, di comprendere il loro rapporto. Per prepararmi ho visto tutti i suoi video, ho ascoltato i nastri delle sue comunicazioni, ma l’essenza del personaggio è arrivata tramite i suoi cari.