Between Us di Rafael Palacio Illingworth ha aperto il Torino Film Festival

img_1025Una nuvola incombe fin dall’inizio sulla vita di Diane (Olivia Thirlby) e Henry (Ben Feldman), giovane coppia affiatata a cui sembra non mancare nulla per essere felici. Lei è una creatrice di eventi di successo, mentre lui è un cineasta in crisi di ispirazione. Spinti dalle pressioni della famiglia di lei (che vorrebbe vederli sistemati in una casa più grande, in una zona più borghese) decidono di fare esattamente quello che tutti si aspettano, quasi fosse qualcosa da esorcizzare – e sembra andare in tal senso il mantra “husband and wife” che ripetono fino allo sfinimento – ovvero di sposarsi nonostante entrambi, a causa dei loro lavori, abbiano incontrato qualcuno che mina le loro certezze. Henry ha infatti da poco conosciuto Veronica (Analeigh Tipton) alla proiezione del suo film ed è attratto dalla sua libertà di pensiero e di vita, mentre Diane sta realizzando un evento per Robert (Scott Haze), che pur non essendo il suo tipo, rappresenta un ideale di uomo arrivato e sicuro di sé che non le dispiace. Proprio il giorno in cui si sposano a Pasadena, senza invitati e senza anelli, litigano e le loro strade si dividono. Il film segue i percorsi di entrambi: una notte in cui verranno allo scoperto e si metteranno in discussione. Il finale rimane aperto, l’appartamento che hanno visitato all’inizio sembra destinato a rimanere vuoto, così come la nuvola che continua a incombere (ma ha cambiato forma). Nel cast anche Adam Goldberg e il grande Peter Bogdanovich. Ecco le dichiarazioni del regista, Rafael Palacio Illingworth, alla sua opera seconda.

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I personaggi

L’aspetto che più mi interessava è che fossero umani, per questo ho lavorato molto in fase di sceneggiatura per renderli con tutti i difetti che ciascuno di noi ha. Volevo evitare gli stereotipi che porterebbero a pensare che la ragazza è la tradita, mentre lui è il traditore. In realtà volevo che ognuno di loro avesse un lato positivo e uno negativo, come succede alla maggior parte di noi.

 

La storia

È abbastanza autobiografica, anche se non direttamente. Io stesso sono sia Henry, sia Diane, ma anche gli altri personaggi. Sono in una fase in cui per lo sviluppo dei personaggi attingo ancora a me stesso, mi attacco alle mie esperienze, sono tutte cose accadute a me, in qualche modo. Anche nel mio primo film è stato così.

 

Nessun messaggio

Non volevo mandare nessun tipo di messaggio ai giovani, ognuno è libero di interpretare il finale come preferisce, a seconda della propria esperienza personale. In qualche modo il messaggio che ho mandato a me stesso, e che è catartico, è che la merda te la porti dietro ovunque, quindi devi fare i conti con quello che hai. Se ne vale la pena devi lottare e dovrai lottare anche se la storia va avanti.

 

Gli attori

Il casting per un film con un budget di questo livello è complicato: non puoi accontentarti di un attore che accetti, né dire a un attore che vorresti: «Non ho soldi, ma è per l’arte», quindi si tratta di trovare un giusto compromesso tra i tuoi desideri e le persone giuste. Dopo aver incontrato molti attori, ho capito che il criterio giusto era ingaggiare persone con cui mi sentivo a mio agio anche in uno spazio privato e questi sono tutti attori con cui sarei uscito per fare una passeggiata o con i quali avrei passato un weekend, con cui sentivo che sarei potuto diventare amico. Una sorta di chimica si è creata tra di noi e tra di loro.

 

La nuvola

Fin da quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura cercavo il modo di rappresentare l’energia, la forza, che è il vero collante tra Diane e Henry. È qualcosa che non viene esplicitato a parole, ma è presente tra di loro. All’inizio il film doveva intitolarsi The Force e pensavo a un’esplosione nello spazio, poi procedendo con la scrittura ho ridotto e ho pensato a qualcosa che doveva essere all’interno e non all’esterno del luogo in cui vivono, così sono arrivato alla nuvola.

 

Le nuvole

La nuvola all’inizio e quella alla fine sono diverse perché qualcosa deve cambiare sia a livello tecnico, perché non bisogna mai ripetersi, ma anche dal punto di vista emotivo. Lascio libera scelta agli spettatori se vedere la seconda più o meno minacciosa. Ovviamente alla fine ognuno si chiede se ce la faranno. Io ho la mia idea, ma ognuno ha la sua.

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Un film indipendente

Sottolineo sempre questo aspetto, non solo perché è fuori del sistema delle major che rappresenta il novanta per cento delle produzioni americane, ma nel dirlo sento una sorta di libertà. Soprattutto come giovane regista non sentirsi vincolati è fondamentale e non può dirsi che ciò succeda quando invece si è sotto contratto con una grossa produzione e si deve gestire un budget elevato. Penso anche che “indipendente” sia un aggettivo che permette alle persone di trovare storie che non trova normalmente nei canali convenzionali.

 

La produzione

In genere ci si aspetta che il regista dica che è stato difficile produrre il film, che è stata una grande sofferenza…, ma non sono d’accordo. Se non ti piace il tipo di vita che fai quando sei un regista non lo fare. Per me è un lusso pensare un film nella propria stanza che poi viene presentato quattro anni dopo in una sala davanti a tantissima gente. È un tipo di lusso che forse nessun’altra forma d’arte può permettersi.

 

Peter Bogdanovich

Sono stato estremamente fortunato. La sua partecipazione al film è stata abbastanza casuale. Sapevamo chi era il suo agente e avevamo già pensato a lui, ma non pensavamo potesse accettare. Poi lo stesso agente rappresentava anche Lesley Ann Warren ed è stato lui a farci il nome di Bogdanovich. È stato fantastico lavorare con lui, all’inizio ero un po’ intimorito, ma è stato molto collaborativo, la persona migliore con cui lavorare.