Dal 24 novembre al 2 dicembre il capoluogo piemontese diventa la meta più gettonata per i cinefili e gli appassionati di cinema. 134 lungometraggi, 10 mediometraggi e 25 cortometraggi per un totale di 169 film compongono il programma della 35 edizione del Torino Film Festival. Sono stati selezionati tra gli oltre 4000 visionati dalla direttrice Emanuela Martini coadiuvata dalla sua squadra di selezionatori (Pier Maria Bocchi, Chiara Borroni, Federico Gironi, Barbara Grespi e Federico Pedroni), da Massimo Causo con Roberto Manassero (sezione Onde) e da Davide Oberto con Paola Cassano, Mazzino Montinari e Séverine Petit (sezioni Tffdoc, Italiana.corti). Come sempre un’offerta ricca nonostante ogni anno i tagli si abbattano sul Torino Film Festival: lo scorso anno i fondi ammontavano a 2.300.000 euro, quest’anno sono scesi a 2.046.000 ovvero il 12,5% in meno il che ha comportato, tra le altre cose, il dover fare a meno del cinema Lux. Abbiamo parlato del programma con Emanuela Martini.
Partiamo dal concorso: 15 film di cui solo uno proveniente dagli Stati Uniti (peraltro di una regista iraniana, prodotta da Jane Campion). C’è crisi tra gli indie americani?
Non posso affermare che gli americani siano peggio del solito, in realtà ne abbiamo avuti un paio in ballo fino all’ultimo, però l’anno scorso erano molti di più quelli che ci piacevano al punto da metterli in concorso. Effettivamente quest’anno abbiamo constatato che ci sono stati meno indie americani che ci hanno colpito.
Invece c’è il ritorno forte dell’Asia con ben tre titoli in concorso.
Questa è una vera sorpresa perché ormai l’Asia è una presenza debole in tutti i Festival. E ne abbiamo lasciati fuori…
E ci sono anche due italiani?
Considerando che a Venezia c’era una quantità impressionante di titoli italiani temevo non ci arrivasse nulla. Va bene che Roma ne ha fatti solo un paio, però ti aspetti che si sia raschiato il fondo del barile anche se, sicuramente, questa è una buona annata… I film di Andrea Tagliaferri e di Jacopo Quadri non erano pronti per Venezia, noi li abbiamo visti molto tardi, a settembre, e ci sono piaciuti subito, li ho molto inseguiti, così come ho molto inseguito Favola di Sebastiano Mauri con Filippo Timi che presentiamo nella sezione Afterhours. Si tratta dello spettacolo abbastanza testuale, non ripreso in teatro, ma in un grande interno, un film – come pure lo spettacolo teatrale che ho amato molto – tra Douglas Sirk e Todd Haynes.
Sean Baker ha scritto in un post di essere molto contento che il suo film chiuda uno dei suoi festival preferiti. E Pablo Larraín torna come presidente della giuria. Per non parlare di Nanni Moretti…
Sì, i registi che sono stati a Torino sono contenti di tornare. Per quanto riguarda Nanni viene per presentare Notte italiana, l’esordio alla regia di Carlo Mazzacurati che lui e Barbagallo produssero, ed è venuto anche l’anno scorso e gli anni precedenti. È affezionato al festival. Anche Julien Temple che l’anno scorso è stato guest director, doveva tornare, ma purtroppo è impegnato nelle riprese di un film. Al Festival presentiamo My Life Story, il primo di tre documentari che sta girando quest’anno, dedicato a Suggs, il leader dei Madness.
A proposito di guest director, quest’anno è Asia Argento…
Nonostante qualcuno sia arrivato a immaginare che, sulla base di uno scandalo, ci sia venuto in mente di fare guest director Asia Argento, posso dire che la decisione data aprile. La ammiro da tempi non sospetti, basta pensare che quando uscì Scarlet Diva ci furono solo tre persone a scriverne in Italia: Enrico Ghezzi, se non sbaglio Giona Nazzaro e la sottoscritta su Film Tv. Perché, con tutti i suoi difetti, Scartlet Diva era un film che dimostrava l’esistenza di una regista, una con un occhio cinematografico e maggiore consapevolezza di tutti i registi della sua generazione e anche con un gran coraggio. Sono stata poi confermata dai due film successivi, Ingannevole è il cuore più di ogni cosa e Incompresa, entrambi belli. Le ho scritto una mail e la sera ci siamo sentite al telefono. Quello che mi ha colpito è che da una brevissima mail aveva capito subito tutto. E mi ha detto immediatamente che se lo avesse fatto – all’epoca era in dubbio perché poteva essere impegnata su un set in Francia – si sarebbe occupata dell’America della Bible Belt perché sono quelli che hanno eletto Trump e poi ha citato dei film. Se uno dice Paris, Texas è facile (e il film ci sarà), se uno ti dice Out of the Blue di Dennis Hopper significa che sa quello di cui sta parlando e ha anche conoscenze cinematografiche in quel settore piuttosto approfondite. La lista infatti è tutta sua, li abbiamo cercati e trovati, ne abbiamo discusso. Ovviamente non concederà interviste, né farà la conferenza stampa, ma parlerà di cinema. Come è giusto che sia.
E sarà impegnata anche in una performance…
Sì è una proposta che ci ha fatto Asia, una performance diretta da Bertrand Bonello che la vede coinvolta al fianco si Emma de Caunes e Joana Preiss dal titolo Trabalho de Concentraçao.
La retrospettiva è dedicata a Brian De Palma. Cosa ci puoi dire?
Che era ora di farla nonostante molti sostengano che non si fa una retrospettiva su un vivente senza avere la certezza matematica che lui ci sarà. Con un vivente e lavorante la certezza matematica che lui sia presente è impossibile visto che si parte a organizzarla mesi prima (noi abbiamo iniziato a febbraio). Nessuno può garantirti la presenza. Tant’è vero che De Palma doveva finire le riprese di Domino alla fine di luglio e poi alla fine di settembre è uscita la notizia che stava ancora girando in Sardegna. Per cui ora sarà in fase di montaggio e dubito venga. Indipendentemente da questo, i film vanno fatti vedere lo stesso, De Palma non lo ha mai fatto nessuno proprio perché lui va in giro solo quando è costretto dalla promozione dei suoi film.
Per il pubblico giovane sarà comunque una scoperta.
Credo che questa retrospettiva avrà un grande successo perché i giovani non hanno visto nemmeno un film di De Palma su grande schermo. E comunque ne hanno visti pochi in generale, in tv passano sono Gli intoccabili, qualche volta Femme fatale e Scarface. Carlito’s Way non si vede più e così gli altri. E poi De Palma è da grande schermo, la scena della scalinata de Gli intoccabili vista al cinema è un’altra cosa che vista a casa. Inoltre ci tenevo perché c’è una foto del 1994 che ritrae i cinque grandi registi in circolazione. Sono al compleanno di uno di loro e in posa si vedono Scorsese, Spielberg, de Palma, Lucas (era il suo compleanno) e Coppola. Dei cinque grandi soprattutto in Italia, ma non solo, quello che è stato meno considerato dalla critica è stato proprio De Palma.
Perché?
Perché la critica degli anni 70 lo snobbava relegandolo a semplice imitatore di Hitchcock. E comunque una certa avversione per il cinema di genere c’era e poi è sempre stato liquidato come uno molto bravo linguisticamente, ma niente più. Non è vero assolutamente, De Palma ha fatto un lavoro sull’immagine, sul linguaggio che ci circonda e che ci opprime che è pazzesca. Quando era studente di cinema aveva una passione per Godard, ha iniziato come godardiano e i primi film, se vuoi all’americana, sono un po’ godardiani. In ogni caso lui è rimasto godardiano di testa, ed è da allora che continua a farci il discorso sul surplus sonoro, visivo da cui siamo circondati, sul fatto che non riusciamo più a vedere la realtà perché siamo circondati da troppe cose. È un discorso davvero profondissimo e lo fa con le immagini e con i suoni. È un grande autore, non è solo un grandissimo stilista o uno di genere, è uno che ha un pensiero e ce l’ha bello forte.
L’anno prossimo possiamo contare di vederti ancora alla guida del Torino Film Festival?
Non dipende da me, il mio contratto scade quest’anno. Ma posso dire che è stata una bellissima esperienza e che personalmente sarei felice di continuare perché la considero un’esperienza non ancora conclusa che potrebbe essere ancora molto produttiva sia per me che per il festival.
Foto di apertura di Giulia Ferraretto (IED)