"Sylphidarium" coreografia di Francesca Pennini al teatro Carignano di Torino

Francesca Pennini (CollettivO CineticO): Sylphidarium tra tradizione e rivoluzione

Sul palco del Teatro dell’Arte di Milano il 14 e 15 novembre è andata in scena la dirompente energia di CollettivO CineticO che ha presentato l’ultimo lavoro ideato, diretto e coreografato da Francesca Pennini (classe 1984), anima della compagnia da lei fondata nel 2007 nella forma, come dice il sito, «di rete flessibile di collaborazioni e come fucina di sperimentazione nell’ambito del movimento e della sua relazione con musica, video e immagine». Da allora, la Pennini ha firmato 43 produzioni di CollettivO CineticO e i suoi lavori, insigniti di svariati riconoscimenti, sono stati rappresentati in giro per il mondo. L’ultimo spettacolo, Sylphidarium. Maria Taglioni on the ground – che la vede in scena accanto a Simone Arganini, Margherita Elliot, Carolina Fanti, Carmine Parise, Angelo Pedroni, Stefano Sardi e Vilma Trevisan e con la musica dal vivo di Francesco Antonioni, Marlène Prodigo e Riccardo Guidarini – è finalista al Premio Ubu 2017 nella categoria miglior spettacolo di danza. L’abbiamo incontrata.

 

In Sylphidarium c’è l’alto e il basso, la sfilata di moda, accanto alla danza classica e all’aerobica. Direi che ti piace contaminare i generi…

Diciamo che c’è un amore per lo spaziamento in ambiti sconosciuti e la necessità di non appartenere mai a quello che si fa. Questo un po’ per curiosità e un po’ perché le persone che fanno parte di CollettivO CineticO provengono da ambiti molto diversi e, in molti casi, non hanno una formazione lineare o simile l’uno all’altro e legata alla danza per cui questo è fonte di continuo stimolo. Al di là della mia curiosità personale che mi porta comunque a mescolare e cercare altrove, c’è anche un interesse drammaturgico sull’accostare e sul mettere lo spettatore nella condizione di dover far entrare in relazione dei principi chimici insoliti, abbandonando così dei parametri predefiniti con cui guardare qualcosa che è riconoscibilmente danza piuttosto che qualcos’altro, ma stando al gioco delle associazioni.

 

Parliamo del titolo: come un entomologo dissezioni la danza classica, ma rendi anche omaggio alla prima grande ballerina romantica, a suo modo rivoluzionaria per l’introduzione, proprio in La Sylphide, del tutù e della danza sulle punte, oltre che per l’acconciatura “à bandeaux”.

Assolutamente, tra l’altro era un’icona di moda. Si diceva l’acconciatura “alla Maria Taglioni” per cui, in qualche modo, era anche pop al tempo, come riconoscibilità. Volevo partire da quella che era un’innovazione tecnica, estetica e visiva e che adesso è diventata lo stereotipo della danza classica, ma che nel caso de La Sylphide era una novità. E mi piaceva l’idea di affrontarla effettivamente in maniera chirurgica, elemento per elemento, dissezionandola, mantenendo un gusto molto scientifico e, contemporaneamente, anche una dimensione un po’ più rock. Questa Maria Taglioni on the ground sembra il titolo sulla copertina di un album mentre Sylphidarium è la dicitura alla latina di un “inventario di” quindi un erbario, una serie di esemplari di qualcosa che, in questo caso, sono insetti, però stanno a metà tra dei capi di vestiario, dei danzatori, degli insetti, dei movimenti.

 

All’inizio hai inserito un narratore in voce off che ci introduce in un universo magico.

Volevo che fosse una voce a metà tra quella off del documentario (che accompagna, per esempio, le immagini degli animali) e quella di un presentatore di una sfilata di moda.

 

E infatti si parte con una sfilata e si arriva all’aerobica, molto in voga negli anni 80…

Il lavoro è diviso in tre atti, anche se sono continui. C’è la prima parte in formato sfilata con tutte le scene della drammaturgia de La Sylphide, per cui tutti gli ingressi hanno uno step narrativo, anche se criptato, enigmistico, come lettura. Poi c’è il momento centrale con i popcorn che, per me, rappresenta una sorta di crepa ed è il momento in cui noi non siamo più né i personaggi della storia, né i danzatori in scena, ma siamo proprio le persone in carne e ossa: siamo Simone, Francesca, Stefano… Non abbiamo nessun costume che ci renda personaggio e, in totale relax, guardiamo il pubblico. L’ultima parte riprende Les Sylphides, il balletto di Fokine del 1909 che è il primo balletto astratto, per cui altra innovazione rispetto a quella di Maria Taglioni è stata proprio l’assenza di una narrazione in questo atto bianco in cui c’era soltanto il corpo di ballo delle Silfidi con il principe. L’idea è stata quella di trasporre questa danza pura in un movimento brutalmente puro, esclusivamente ginnico che ha come unico scopo il movimento stesso e che non significa altro che quello. Quindi, anziché raggiungere la leggerezza attraverso la scarpetta da punta o la qualità della danza classica e, di conseguenza, la tensione spirituale, il gioco mentale per noi è stato raggiungere la leggerezza sublimandosi fisicamente, evaporando attraverso la fatica, attraverso questa sorta di liquefazione. Chiaramente è abbastanza ironica la volontà dietro queste tutine argentate e questi gesti così riconoscibilmente anni 80.

 

L’ironia è un tratto che accomuna i lavori di CollettivO CineticO?

Sì è parte un po’ della natura di tutti i lavori. Ci viene fatto notare spesso. Per me è qualcosa di spontaneo, nel senso che c’è sempre qualcosa di acido che è mescolato a un elemento ironico, che non diventa mai comico e non vuole assolutamente far ridere o alleggerire, anzi a volte diventa più caustico proprio grazie all’ironia.

 

La contaminazione è presente anche nella musica dal vivo che spazia dall’elettronica alle percussioni alla musica classica. Come la inserisci in fase di drammaturgia?

In ogni lavoro in modo diverso, ma è sempre un elemento molto importante per me nel senso che è un soggetto drammaturgico con cui entrare in dialogo, non è mai una semplice funzione per la danza. In questo caso è stata una collaborazione molto felice – ed era la prima volta – con Francesco Antonioni, con cui ho lavorato in un rimbalzo di stimoli reciproco. Alcune parti sono state create completamente da un punto di vista coreografico e lui ha composto, quasi come se fosse la colonna sonora di un film, sulle partiture coreografiche che, poi, si sono rimodificate in conseguenza della musica che le aveva ricoperte. Abbiamo ricambiato le coreografie perché prendevano non solo organizzazione ritmica, ma senso e quindi si sono nutrite a vicenda con la musica. Altre parti invece sono partite dalla musica, ad esempio il terzo atto sull’aerobica, si è spostato tantissimo grazie alla partitura sonora che, peraltro, doveva essere nella prima parte. Per cui è stato veramente uno scambio.

 

Hai scelto tu gli strumenti?

Sì è una scelta fatta a monte da parte mia per una necessità drammaturgica. Volevo che la natura del suono richiamasse il dialogo tra l’elemento terreno, percussivo, del corpo che sta a terra, di una Maria Taglioni “gravitata”, e un elemento invece super leggero, aereo, che tendesse all’alto e quindi anche con un timbro a un’altezza diversa. Per questo avevo pensato al dialogo tra percussioni e violino come due soggetti sonori. E Francesco ha scelto di lavorare anche con l’elettronica che è stata sicuramente un elemento decisivo. E poi volevo ci fossero le musiche di Chopin usate per Les Sylphides perché la musica del balletto La Sylhide non mi piaceva per niente e quindi abbiamo usato la partitura di Chopin, ma anche quella molto criptata, in alcuni momenti emerge, in altri casi è quasi un remix… Secondo me Francesco l’ha usata in modo molto intelligente e raffinato, pur rimanendo godibile ed energica.

 

Foto di Marco Caselli, Viola Berlanda, Camilla Caselli, Giuseppe Distefano.

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