Ogni vita è un viaggio. È ispirato a questa ferma, strutturata convinzione il Festival del Viaggiatore di Asolo (Treviso, 4-26 settembre), che si presenta come un’eccezione fin dal suo concepimento: ideato e diretto nel 2015 dalle sorelle Giulia ed Emanuela Cananzi, affianca, a una serie di incontri tra “viaggiatori” sul territorio veneto, un premio particolare: “Un libro un film – Premio Segafredo Zanetti Città di Asolo”. Non l’ennesima competizione letteraria ma una selezione “dal basso” che ha l’obiettivo di segnalare alla produzione audiovisiva quelle opere che – secondo il giudizio di una rete di librerie indipendenti e di tre giurie distinte – hanno in sé un forte potenziale di trasformazione in narrazioni per il grande e piccolo schermo. (L’immagine di apertura è di Mario Dal Do).
Da dov’è nata l’idea di fondare un festival?
Da un’affinità tra sorelle e dall’amore condiviso per l’arte. Io sono musicista, pianista compositrice, diplomata in pianoforte e amo moltissimo il cinema, come sintesi di tutto ciò che mi piace: musica, arte, pittura, fotografia, teatro. Mia sorella Giulia è giornalista, con un amore per il dettaglio, e l’inchiesta, soprattutto in ambito socioculturale. Il festival ci ha fatto scoprire di essere complementari: io sono l’anima artistica, lei quella più concreta. Mettiamo tutto quello che siamo in un progetto di promozione del territorio, che è strettamente legata al cinema. Attraverso il Festival del Viaggiatore cerchiamo di creare le connessioni con i territori, perché non accettiamo il fatto che esistano confini. E poi è nata dall’idea del viaggio come metafora della vita.
Perché ad Asolo?
Asolo è uno dei borghi più internazionali che abbiamo in Italia, noto in tutto il mondo, da San Francisco a Tokyo. Vedendo il giardino di Villa Cipriani mi sono detta che qui bisognava fare qualcosa d’altro, perché di festival letterari ce ne sono già tanti. Ho riflettuto prima su Asolo come città delle tre donne: Caterina Cornaro, regina di Cipro, una delle prime a fondare un cenacolo culturale; Freya Stark, la più grande viaggiatrice di tutti i tempi; Eleonora Duse, che aveva qui la sua casa. E poi Asolo scelta dagli inglesi come meta, “porto di quiete”. Nel Quattrocento Bembo coniò il termine “asolare”, cioè passeggiare per Asolo e viverla, gustarla, respirarla lentamente e interiorizzarla. Siamo partiti da qui, dall’idea che il viaggio è esperienza, oasi, incontro, caravanserraglio. Dall’idea di creare tanti punti di incontro dove i viaggiatori – perché a questo punto viaggiatori siamo tutti, sia chi racconta che chi ascolta – si trovano, come davanti al fuoco: chi sa meglio cantare, raccontare, accompagna gli altri. Poi siamo figlie di ferrovieri, abbiamo sempre avuto quest’immagine della stazione come luogo poetico per eccellenza. Tutte queste suggestioni mi hanno permesso di iniziare a “cucire” questo evento con Giulia.
In cosa si differenzia il Festival del Viaggiatore dagli altri festival letterari?
Spesso rispondo a questa domanda “perché è più importante la storia di chi la racconta”. È bene che esistano tanti festival di letteratura, ma alla fine cosa sono? Spesso, un insieme di presentazione di libri, ma non sempre un progetto culturale. Qui abbiamo come ospiti registi, scrittori, camminatori, archeologi, industriali, perché abbiamo bisogno della coralità di voci, della differenza di punti di vista, prospettive, esperienze. Chiaramente attorno a dei temi, a delle direzioni di viaggio.
Il tema di quest’anno?
Il “Fuori”. Fuori rotta, fuori di testa, fuori gioco, fuori dagli stereotipi e dagli algoritmi. Chiediamo a persone molto diverse tra loro, non solo allo scrittore, qual è il loro “fuori”. È una modalità differente di incontrare il “tuo” scrittore, regista, musicista, interprete. A me poi piacerebbe addirittura fare il “Festival degli sconosciuti”, per non vedere sempre le stesse persone nei festival. Quest’anno, per esempio, abbiamo tra gli ospiti il camminatore Andrea Spinelli (domenica 26 alle 17 a Villa Freya, Asolo), che arriva in camper. Qualche anno fa ha scoperto di essere malato e ha trovato una via di sopravvivenza nel camminare. La sua storia è “fuori”: da un recinto, da una malattia… mi interessano queste persone, l’idea che al festival ci siano delle belle storie da ascoltare, non solo dei nomi di grande richiamo per il pubblico.
Il vostro festival si articola non in un luogo solo ma in diverse località tra Treviso e Vicenza (Possagno, Bassano del Grappa, Mussolente, Maser, oltre ad Asolo): un modello virtuoso di rete culturale, potenzialmente esportabile ovunque. In antitesi alla frammentazione e dispersione di microeventi locali, della cultura “a gettone”.
Questo modello organizzativo — l’evento turistico culturale che promuova i territori — dovrebbe essere il futuro. Anzi, il presente. Noi lo stiamo realizzando ma con grande fatica, perché i campanilismi sono duri a morire. Bisogna arrivare a parlare di territori, non di Comuni, allargare talmente tanto il discorso da arrivare a tutta l’Italia. Vale anche per il turismo: se metto in un progetto due Comuni, uno non fa ombra all’altro, ma entrambi godono della luce dell’altro, perché inseriti in un progetto culturale, oltre che territoriale. È un’idea difficile da far passare, parlando con i Comuni. Ora si parla di turismo di prossimità, anche per effetto della pandemia, ma esisteva già prima. Bisogna continuare ad incoraggiarlo, perché è il turismo corretto, è il turismo del viaggiatore, che ti permette veramente di vivere e di consistere. Se scopri che un’esperienza forte ti può venire anche da una realtà vicina, è un grande arricchimento.
Il territorio di cui vi occupate inoltre si presta facilmente a diventare set cinematografico.
Il legame del premio col Festival deriva dal fatto che non solo molta gente di cinema conosce Asolo, ma anche che qui sono stati girati alcuni film, tra cui Il gioco di Ripley di Liliana Cavani, Il disco volante di Tinto Brass, Amanti di Vittorio De Sica, Sognando l’Africa di Hugh Hudson. Tra le location del Festival, per esempio, ci sono la Gipsoteca del Canova a Possagno e la Villa di Maser: una villa palladiana, patrimonio Unesco, decorata dagli affreschi di Paolo Veronese, dove il 24 settembre (ore 18.30) avremo come ospite Nada a parlare del suo “Fuori”.
Come si lega il Festival del viaggiatore al Premio Segafredo Zanetti Città di Asolo “Un libro un film”?
Sono nati contemporaneamente. Il primo anno il premio era letterario ma con la seconda edizione, insieme a mia sorella e alla giornalista Daniela Amenta, che fa parte del comitato scientifico del premio, abbiamo pensato di connotarlo diversamente, dedicandolo a quei libri che più di altri si prestano a diventare film, e – dall’anno scorso – anche serie tv. Senza sapere che non esistessero altri premi dedicati alla narrativa per il cinema. La premessa è che le segnalazioni non possano venire dalle case editrici, dagli autori, dagli agenti, perché è l’amore per il cinema a venire prima di tutto. Il cinema ha sempre guardato alla letteratura; allora perché non provare – umilmente, senza arroganza – a fare da primo tratto, a fungere da primo filtro, per chi poi quei film li può produrre?
Come avete costruito la rete di “segnalatori”?
Può segnalare questi libri solo chi va molto al cinema, chi legge molto. Dopo un passaggio nei circoli di lettura siamo arrivati alle librerie indipendenti, quelle italiane più che quelle estere, che sono meno libere nel dare indicazioni. Librerie indipendenti che siano anche hub culturale. Quelle, per intenderci, che hanno ancora la figura meravigliosa del libraio, che legge, ti suggerisce, ti guarda negli occhi e ti chiede che scuola hai fatto, cosa ti piace, ti fa quasi un’anamnesi per dirti di leggere Dostojevskij piuttosto che Baricco. Ed è faticosissimo cercare di individuare il più possibile questi piccoli centri di cultura. Sono partita da quelle che conoscevo, poi ho raccolto suggerimenti dal comitato scientifico, e quindi lentamente lo staff del Festival del Viaggiatore si è arricchito e cerchiamo di costruire lentamente e con pazienza un archivio. L’obiettivo è individuare i libri con maggior potenziale ma anche dare la possibilità a delle belle storie, pubblicate da editori minori, di essere lette. Perché a volte non hanno neanche questa possibilità.
Una cosa che ha ben evidenziato Antonietta De Lillo durante la presentazione del Festival e del Premio alla Mostra di Venezia, ricordando di aver tratto il suo Il resto di niente da Loffredo, una casa editrice che per vent’anni ha pubblicato solo per la scuola.
Sì, vorremmo mettere in comunicazione il mondo “alto” col mondo “basso”, che è quello che legge tanto e va tanto al cinema. Chi produce ha bisogno di conoscere i gusti di quel pubblico. Ovviamente nel termine “basso” non c’è nulla di dispregiativo. Se possiamo fare qualcosa per dare un’opportunità a chi non ce l’avrebbe, a superare le differenze nell’accesso al pubblico, lo facciamo.
Quali sono le fasi temporali di lavoro dietro al Premio?
Iniziamo a lavorare a Festival e Premio appena chiusi i lavori dell’edizione. Chiediamo alle librerie di segnalarci entro fine aprile un numero di prime edizioni di narrativa italiana, pubblicate entro l’arco di un anno (da aprile al marzo successivo) cercando, nel leggerle, di pensarle già come proiettate sullo schermo. Dopo di che li mandiamo in lettura al comitato scientifico, che ha tempo fino a fine giugno per definire la cinquina, la quale a sua volta va in lettura a tre giurie: qualificata, della critica, popolare.
Quali sono i libri scoperti dal premio che sono diventati film?
Fin dalla prima edizione abbiamo avuto occhio, sia tra chi ha vinto il premio sia tra i finalisti della cinquina, perché a La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone (Longanesi) si è ispirato Gianni Amelio per La tenerezza. Nel 2017 L’arminuta di Donatella di Pietrantonio (Einaudi), che aveva vinto a metà settembre il Campiello, a fine settembre ha vinto anche il premio Segafredo Zanetti; ma due settimane prima Donatella aveva già firmato, altrimenti qualcun altro ad Asolo si era già fatto avanti con lei. Paolo Di Paolo con Lontano dagli occhi (Feltrinelli) l’anno scorso ha vinto il premio nella sezione serie tv e mi ha detto che poco dopo aver vinto gli erano stati chiesti i diritti e aveva firmato. So che anche Mirko Sabatino è stato contattato per L’estate muore giovane (nottetempo) ma è ancora a livello di opzione. Quello che ha vinto l’anno scorso, Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli (Mondadori) dovrebbe andare in porto (in contemporanea a quest’intervista, Eleonora Andreatta, vicepresidente delle serie originali italiane Netflix, ha annunciato che sul romanzo è al lavoro Francesco Bruni, ndr). Il premio insomma è stato un acceleratore di interesse.
Quest’anno avrete una giuria di tutti produttori: Maria Pia Ammirati (direttrice Rai Fiction), Riccardo Tozzi (Cattleya), Andrea Occhipinti (Lucky Red), Antonietta De Lillo (Marechiaro Film), Silvia Bizio (giornalista e produttrice). E a Venezia Tozzi ha dichiarato che il 70% della produzione Cattleya viene da fonti letterarie.
La giuria di produttori è stato il grande passo in avanti, perché sono loro a dover leggere i libri. hanno bisogno anche di questo filtro. Sono anni che dialoghiamo con i produttori, quest’anno nessuno tutti mi hanno detto tutti subito di sì. È importante per creare filiera, diventare un filtro. Perché gli scrittori molto spesso scrivono già pensando al cinema. E questo non è libro, la letteratura è un’altra cosa. Il cinema bello nasce da un libro bello in sé, fatto per essere letto. Poi sono le professionalità del cinema a rubarne un pezzo di anima per farne un film, è questa la loro sfida. Di frequente i produttori sono costretti a leggere in anteprima cose consigliate dalle case editrici, anche libri già premiati. Secondo me il nostro progetto piace per questa limpidezza, perché non ha obiettivi commerciali, ma passionali. Le cose che funzionano sono quelle che hanno un’anima. C’è una necessità di questo filtro, che metta in comunicazione il mondo dell’editoria e quello della produzione. E poi escono troppi libri, qualcuno deve leggerli, insieme e per loro. Il benessere esistenziale deriva da ciò che riconosci, in quello che bevi, leggi, guardi… altrimenti avverti uno straniamento. Se curi un percorso che va dal libro al film, pensando a chi va al cinema, a chi legge, questo funziona, perché è qualcosa che non galleggia in aria ma parte dal basso. Allo stesso modo, gli eventi che funzionano sono quelli che radicano, cioè che ascoltano il territorio dove piantano delle radici: un festival che racconta i territori deve ascoltarli, coinvolgerli, diventano eventi a più mani.
Quali sono gli appuntamenti che ha più a cuore, di questa settima edizione del Festival?
Mi interessa molto il “Fuori” – e ci ha tenuto a essere inserito in quella sezione – che avrà come protagonista Gianluca Nicoletti (domenica 19 alle 11.30, Parco di Villa Negri, Piovene). Ma anche Nada, sicuramente un personaggio Fuori. Mi piace anche questo Orlando furioso scritto da Vittorio Macioce ma raccontato da Angelica, per cui avremo Sandra Toffolatti (Orlando visto da lei, sabato 25, ore 11, Asolo, Casa Duse) che ci racconterà il punto di vista femminile. Poi Antonella Attili (domenica 26, alle 18, Asolo, Convento di San Pietro e Paolo): farà anche lei questo viaggio fuori dagli schemi, parlando del fatto che in Italia se non sei bellissima non hai mai parti da protagonista o di spicco — lei dice sempre ho fatto “la mamma di”, “la zia di”…
Problema purtroppo comune a molte attrici.
Sì, è vero, ma sono sempre convinta che se Almodóvar riesce a scegliere e tirar fuori da donne non belle un carattere, una grinta travolgente, perché non altri? Farà la madrina ma vorrà raccontare il suo festival, seguita dal nostro operatore. Infine ci sarà anche un incontro sul turismo di prossimità (domenica 26, Villa Ca’ Zen, alle 11), con Simona Tedesco, direttrice di “Dove” e Mario Placidini, giornalista di “Tv 2000”, con cui c’è un legame da anni grazie al festival.
Com’è entrato lo sponsor a caratterizzare in modo così deciso il premio?
Come ti dicevo venivo da un festival letterario e ho avuto il suo appoggio per fare un festival, come main sponsor. Ero talmente entusiasta della cosa da decidere di intitolarglielo, in seguito è stato connotato come “Un libro, un film”. È un nome legato al territorio, perché il proprietario della Segafredo vive ad Asolo, anche se la Segafredo Zanetti ha sede a Bologna.
Ricevete fondi pubblici?
Non parliamo di fondi pubblici, è meglio. Facciamo due eventi in uno ma con quasi un terzo delle risorse di cui abbiamo bisogno. Una grandissima fatica a trovare le risorse necessarie. Ci vuole tanto tempo e tanta fatica per portarlo fuori, farne un evento a sé e svilupparlo il più possibile. Il festival starebbe già viaggiando, se non avessimo avuto la pandemia avrei dovuto farlo in Cilento. Abbiamo molti occhi puntati addosso, lo vorrebbero anche in altri territori.
C’è un libro in particolare selezionato dal premio che non è ancora un film o una serie ma su cui lei scommetterebbe?
Quello di Mauro Garofalo, Alla fine di ogni cosa. Romanzo di uno zingaro (Frassinelli), che ha vinto nel 2016. Racconta del campione tedesco di pugilato degli anni Trenta Johann Rukeli Trollmann ed è uscito nello stesso anno in cui Dario Fo ha realizzato il libro illustrato Razza di zingaro.
Per scoprire i cinque libri finalisti dell’edizione 2021 visitare la sezione sul Premio Un libro, un film e per informazioni sul programma e i luoghi del festival, il canale YouTube.