I Masbedo (Nicolò Massazza e Jacopo Bedogni) sono gli autori dei video de Il flauto magico, la nuova produzione della Fondazione Arena di Verona, del regista Mariano Furlani. Un’opera dark, dalle atmosfere burtoniane, destinata a lasciare il segno per il suo essere contemporanea pur rimanendo nel solco della tradizione classica. Ne abbiamo parlato con il duo di videoartisti milanesi non nuovi a esperienze di contaminazione (fino al 14 febbraio al Mart di Rovereto è possibile vedere la loro videoinstallazione Sinfonia di un’esecuzione, realizzata nei boschi della Val di Fiemme che ha dato vita a un’interessante performance con sonorizzazione live dei Marlene Kuntz), per la prima volta alle prese con un’opera lirica.
Con il regista firmate l’ideazione e il progetto di questo Flauto magico. Come si è svolta la collaborazione?
Nicolò Massazza: È stato Mariano Furlani, interessato a esplorare la fascinazione che deriva dall’inserire l’arte visiva all’interno dell’opera, a chiamarci. È nata come una sorta di proposta innocente. Poi si sono disegnate delle linee in maniera molto naturale perché lui, con la sua esperienza e la sua profonda conoscenza dell’opera, aveva ben chiaro come procedere. Ha dato l’ossatura, lo scheletro, lasciandoci totale libertà di movimento nelle parti più bizzare e meravigliose dell’opera, ma anche nelle zone più scure e ombrose. In questo modo ci ha riconosciuto un ruolo importante. In tal senso va intesa l’ideazione: abbiamo discusso tanto del progetto, anche per lui era importante capire come inserire il discorso visivo. Lo abbiamo fatto in forma spaziale, attraverso un grande schermo sullo sfondo, altri schermi che scendono o scegliendo di proiettare direttamente sulla scenografia. Siamo riusciti a stare all’interno delle regole dettate dal regista, ma muovendoci in assoluta libertà e riuscendo alla fine a coniugare la tradizione con l’arte più sperimentale.
Jacopo Bedogni: Uno dei motivi fondamentali per cui questa collaborazione ha funzionato è che non ci sono personalità illogiche nel progetto. Mi riferisco a quel tipo di personalità che tende all’invadenza anche in campi che non le appartengono, forte solo della propria certezza e sicurezza, che punta a mantenere per forza il suo io. Progetti di questo tipo possono avvenire solo se c’è una vera collaborazione, un dialogo aperto, in cui l’ego di ognuno fa talvolta un passo indietro. Può risultare difficile con registi che si trincerano dietro la loro visione univoca e non aperta, ma se si dialoga si può davvero creare qualcosa.
Da dove siete partiti per realizzare i video?
J.B. Dalla favola, che è comunque l’asse portante del racconto del Flauto. Abbiamo poi indagato il concetto di racconto di formazione e quindi, connesse a questo, le pulsioni, le attrazioni, le paure che creano il percorso di conoscenza di Pamina e Tamino. Quando si è trattato di produrre i lavori, abbiamo optato per il versante performativo più che per quello della narrativa per immagini cinematografica. Per questo tutte le immagini sono molto statiche, si muovono, ma il movimento è minimo, e sono illuminate con luci simili a quelle teatrali. È un po’ il procedimento che utilizziamo nelle nostre performance quando creiamo delle icone, delle immagini che rimangono nella memoria. Probabilmente se avessimo raccontato in maniera più cinematografica, avremmo distolto lo spettatore dall’opera perché ci sarebbero stati due registri totalmente differenti che andavano insieme. In questo modo, invece, le immagini avvengono, rimangono, hanno sempre un movimento, ma creano delle stazioni precise senza che ci sia quell’incombere del racconto che è proprio del cinema o della videoarte.
N.M. Sono quasi dei grandi quadri che avvolgono la scena e con cui i cantanti sono connessi e interagiscono.
È un Flauto magico in cui si dà grande spazio all’interpretazione attoriale dei cantanti.
N.M. È sicuramente una versione più introspettiva del solito e la scelta di avere una scenografia così asciutta, minimale è stata una carta vincente perché ha fatto sì che si creassero grandi spazi in cui il cantante non deve relazionarsi con una scultura fisica, ma con una nuova forma di proiezione della luce, con i video, con lo spazio, con lo specchio (una scelta, quest’ultima, fatta con il regista e con lo scenografo Giacomo Andrico che si è rivelata azzeccata perché è sì un elemento scenico pericolosissimo per le luci, ma è stata molto funzionale all’interpretazione). Il regista, poi, è stato molto bravo a far interagire i cantanti con i nostri video (penso a Tamino schiacciato dalla presenza del serpente o alla scena del coltello in cui Pamina ne diventa il manico).
J.B. In effetti il vincolo delle scenografie incombenti nella lirica toglie all’attore la capacità di calarsi completamente nella parte del recitativo. Qui invece, in un palco così aperto, il cantante è più concentrato sul suo personaggio.
Va in questo senso la scelta di rappresentare in video il serpente, il flauto, il coltello?
J.B. Per quanto riguarda il serpente, che compare appena si apre il sipario, abbiamo voluto dare subito un’impronta inequivocabile dell’ambiente in cui è inserito, il legame fortissimo tra Tamino e qualcosa che incombe alle sue spalle. È un momento estremamente drammatico, ma viene sempre relegato all’ambito favolistico, senza sottolinearne la pericolosità. Invece il nostro serpente è davvero malefico… Lo stesso vale per il coltello, mentre la scelta di non avere in scena il flauto come oggetto è stata una decisione di Mariano che quindi lo ha affidato a noi.
Come vi siete preparati ad affrontare Mozart?
N.M. Ci sono autori più nelle nostre corde (penso a Wagner) e altri che non lo sono proprio (Rossini, per esempio). Quindi quando ci hanno proposto Il flauto magico eravamo un po’ impauriti, pensavamo fosse una favoletta. Invece il regista è stato bravo a stuzzicarci dicendoci che è un testo stratificato. Ci siamo fidati… E poi siamo entrati da novellini nell’ambito della lirica ed è stato un atteggiamento che ci ha premiati. Avevamo una sorta di entusiasmo fanciullo che ci ha permesso di affrontare l’opera con grande naturalezza. Penso – anche se può sembrare un’assurdità – che gli artisti debbano entrare in relazione con aree creative più sconnesse, più istintive, senza per forza di cose capire tutto.
Cosa vi è piaciuto del Flauto magico?
J.B. Mozart prima di morire regala al volgo un’opera che non va verso il livello alto, aristocratico, nobile, ma va verso il basso con delle tematiche che smuovono, e che sono quasi rivoluzionarie. È vero che parla di massoneria, è vero che è un’opera misogina, però allo stesso tempo – guarda caso – sono le donne a essere portatrici del cambiamento. E poi è molto affascinante il discorso delle paure, delle prove da superare, questo specchio concavo e convesso rappresentato da Pamino e Papageno, due facce della stessa medaglia.
N.M. Dopo le perplessità iniziali ci siamo trovati in totale sintonia, perché Mozart è neobarocco, quando si soffre si soffre da morire, quando ci si diverte altrettanto. Mozart riesce a essere iperprofondo e pop nei momenti leggeri e iperprofondo e dark nei momenti commoventi, strazianti, sacrali.
Sembra ci abbiate preso gusto. Farete altre opere?
J.B. Vedremo… Philipp Von Steinaecker, il direttore d’orchestra, ci ha chiesto se fossimo interessati a La passione secondo Matteo di Bach per orchestra e coro, da fare in una chiesa. Si tratta di un colosso della musica classica con doppio coro e doppia orchestra, quindi un muro di suono potentissimo, altissimo che oggi quasi richiede un commento visivo, come se quel suono necessitasse di una materia, di una forma.
N.M. Perché no? Per noi è un altro modo di far entrare e di far conoscere la videoarte in un ambiente diverso. Crediamo da sempre alla contaminazione perché è un modo di metterci in discussione.
Verona Teatro Filarmonico
Domenica 8 novembre ore 15.30
Martedì 10 novembre ore 19
Giovedì 12 novembre ore 20.30
Domenica 15 novembre ore 15.30