Massimo Causo ci svela la sezione Onde del Festival di Torino

Uno dei motivi per andare a Torino è certamente rappresentato dalla sezione Onde. Massimo Causo (con la collaborazione di Roberto Manassero) prepara ogni anno un programma che esplora “territori disattesi, sfidando le punte estreme del dire filmico, coltivando discorsi autoriali liminari”. Una bella e stimolante “avventura” per lo spettatore accorto che voglia scoprire nuovi talenti, confrontarsi con cinematografie trascurate ed entrare in contatto con linguaggi e storie differenti. Alla vigilia del Festival abbiamo sentito Causo per capire cosa bisogna aspettarsi questa volta da Onde.

 

20150602-glauber_rocha_01-e1433271993659-300x225Non si può non partire da A Vida é estranha di Glauber Rocha e della compagna Mossa Bildner. Una grande sorpresa, un film che pareva perso. Che storia c’è dietro?

È una scheggia che appartiene più alla vita di Rocha che propriamente al suo cinema, un frammento del suo sguardo strappato al fuori tempo di un viaggio in Marocco assieme alla sua compagna Mossa Bildner. Le immagini sono quelle realizzate da Rocha con una cinepresa Super8, prevalentemente a Essaouira, città sulla costa atlantica marocchina: tipiche situazioni di viaggio, dove ciò che conta è ovviamente vedere lo sguardo del maestro del Cinéma Nôvo applicato alla realtà locale con uno schema per così dire “privato”. Siamo nel 1974 e in quegli anni Rocha era spesso in Africa, oltre che in Europa. Il tutto è stato conservato su una libreria, in casa di Mossa Bildner, riversato su una VHS che la compagna di Rocha ha deciso di far vedere ora, seguendo il suggerimento di due giornalisti brasiliani che hanno scoperto il materiale. La prima mondiale è stata al festival del documentario di Curitiba, “Olhar de Cinema”, quello di Torino è il primo passaggio europeo. Purtroppo Mossa Bildner è impossibilitata a essere con noi al festival, per raccontarci qualcosa in più, ma il film è di sicuro una testimonianza preziosa e un “reperto” interessante.

 

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La sezione Onde è attraversata da un grande senso di libertà. Scegli dei percorsi o ti lasci attraversare/attrarre da ciò che vedi, da chi incontri?

La libertà e la necessità, direi anche la testardaggine, di non farci ingabbiare negli schemi del cosiddetto “cinema sperimentale” è una esigenza alla quale io e Roberto Manassero, che mi affianca nel lavoro di ricerca e selezione, obbediamo da sempre. I percorsi si offrono da soli, con una forma di emergenza che ogni anno ci sorprende per la coerenza con cui si impone… Cerchiamo un cinema che spiazzi le estetiche, abbiamo un grande affetto per autori e risvolti delle cinematografie che sono meno “di tendenza” e conducono la loro ricerca con riservata caparbietà e coerenza. Poi ci sono le affinità elettive, per esempio su un certo cinema francese e su quello indipendente americano stiamo lavorando con attenzione da anni.

 

Cosa dobbiamo attenderci quest’anno? Senza fare torto agli altri: tre titoli da non perdere assolutamente?

In un anno in cui abbiamo dovuto lasciare fuori, per mancanza di spazio, non pochi titoli che amavamo molto, rispondere a una domanda come questa è particolarmente arduo… Ad ogni modo, direi che la varietà di tendenze ed estetiche che campeggia in Onde può rispecchiarsi molto bene in tre film come Stand By for Tape Back-Up dell’artista e filmmaker scozzese Ross Sutherland, un incredibile monologo che è una implosione di immaginario collettivo e memorie personali dell’autore seguendo la traccia di un nastro VHS riemerso dalla soffitta della sua vita; Balicbayan #1 di Kidlat Tahimik, progetto di antropologia identitaria elaborato da anni da questo straordinario filmmaker filippino caro a registi come Coppola e Herzog e punto di riferimento per autori come Lav Diaz e soprattutto Raya Martin; e infine il colombiano Nacimiento di Martin Mejìa Rugeles, film lustrale, rigenerativo, di acqua, fango, sudore e vita, girato in 16mm come fosse un viaggio nello spirito della natura e degli esistenti.

 

Nacimiento di Martin Mejìa Rugeles
Nacimiento di Martin Mejìa Rugeles

Pensi che l’apertura alla videoarte sia uno sbocco naturale per Onde?

È di sicuro un’occasione che, coltivata assieme a una realtà importante come la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, si rivela in grado di offrire uno specchio preciso e appassionante in cui riflettere percorsi artistici che si esprimono attraverso la pratica del filmare e le dinamiche del cinema. La selezione di ArtRum, che si inaugura quest’anno, ne è una testimonianza molto chiara: ci sono opere di forte impatto visivo e concettuale, che sono certamente tra le cose di Onde da non farsi sfuggire.

 

In tutti questi anni Onde che ti ha insegnato? Ci sono dello costanti nella tua ricerca?

Mi ha insegnato a fidarmi dell’istinto e della curiosità, magari anche della pazienza e dell’umiltà con cui bisogna porsi di fronte al cinema se si vuole capire davvero dove sta andando. Con Roberto Manassero, cerchiamo sempre una selezione che guardi al cinema come a un’occasione dello sguardo, da offrire al pubblico del festival come una alternativa armonica a un festival curioso e appassionato come il TFF. In questi anni, le soddisfazioni maggiori ci sono arrivate dal cinema che arriva a dialogare col pubblico in maniera imprevista.