Pinketts, vieni fuori!

Succede questo. L’associazione culturale Andrea G. Pinketts ha ripubblicato, in una nuova edizione specialissima curata da Andrea Carlo Cappi con tanto di appendice inedita, il primo romanzo dello scrittore milanese (zona Lorenteggio) Lazzaro, vieni fuori, uscito nel 1991 ma scritto molto prima, svolgimento nel 1984. Si può acquistare direttamente dal sito www.andreagpinketts.it. È la genesi del suo celebre alter ego letterario, un libro eccezionalmente non ambientato a Milano ma in Trentino, a Bellamonte in Val di Fiemme, dove Andrea trascorreva le vacanze da ragazzino. Una Bellamonte che, come la Luino di Piero Chiara, «non deve essere cercata sulle carte geografiche, ma in quell’altra ideale geografia dove si trovano tutti i luoghi immaginari nei quali si svolge la favola della vita» (Il piatto piange). E favola è la parola chiave per descrivere il primo libro di Pinketts, una favolaccia nera dove si incrociano nani, giganti e principesse sotto le montagne, dove muoiono bambini e dove Lazzaro, ancora giovane ma già piuttosto vissuto, con un record quotidiano tra le pagine di 14 grappe ingurgitate, si trova a dover indagare suo malgrado. Addirittura su un serial killer (l’orco della situazione). È un bel noir Lazzaro, vieni fuori, il laboratorio del senso della frase: giochi di parole, aforismi, freddure, ricerca dell’ironia che ogni sintassi ispirata si porta dietro, seguendo l’esempio dello scrittore francese Frédéric Dard, roi du calembour.

 

 

Del quale Dard stesso diede una definizione tranciante: «il calembour è l’unico punto di congiunzione tra un imbecille e un genio» e Lazzaro sembra saperlo, forse più dello stesso Pinketts; non perché lo sia, imbecille, e forse neanche genio, ma perché lo constata nel mondo che attraversa, popolato da tanti imbecilli e pochi geni, ai quali tutti prova a dare appunto un senso cercando un trait d’union esistenziale. Il personaggio di Dard si chiama San-Antonio, Lazzaro di cognome fa Santandrea: trattino a parte (ma nelle edizioni italiane dei romanzi del francese si scriveva Sanantonio) non può essere un caso. Anche il mio primo riferimento a Piero Chiara, però, non è casuale. Diversissimi per prosa e stile: la differenza generazionale tra i due gran lombardi (ma il percentile siciliano da parte di padre, come noto, in Chiara pesa) segna una trincea di distinzioni letterarie invalicabile. Però hanno avuto in comune lo stesso punto di osservazione sociale: il bar. Il Clerici di Luino e lo Zamberletti di Varese per l’autore di Saluti notturni dal passo della Cisa e ovviamente il Trottoir di Corso Garibaldi angolo via Tivoli (ma adesso è in Darsena) per il milanese. E da lì hanno entrambi attinto alla materia prima dei libri ascoltando, osservando, elaborando storie, pettegolezzi, caratteri, inventandosi dal nulla o dal tutto le maschere di mondi del tutto irreali e quindi veri. Io Pinketts – al quale credo si debba la diffusione della Guinness nei locali di Brera, contributo all’umanità – non l’ho conosciuto al Trottoir. Il primo incontro sul finire degli anni 90 del secolo scorso alla Libreria del Giallo in via Peschiera zona Arco della Pace dove ero di casa (letteralmente: abitavo a poche centinaia di metri da lì), dalla Tecla Dozio, squisita e un po’ burbera libraia e editora. Ricordo bene che si beveva molto prosecco in bicchieri di carta, il sabato pomeriggio, durante le presentazioni dei libri e nel raduno della tribù dei giallisti, spesso intrattenuti dottamente da Carlo Oliva. Pinketts era un lettore super appassionato di Nocturno Cinema e cominciammo a sentirci spesso e a vederci, di solito il giovedì ora aperitivo, che come noto a Milano va intesa dalle 18 circa alle 22, ma con lui non finiva mai. Il luogo delle chiacchiere e dei bicchieri – a questo punto della storia siamo nei primi anni dieci del nuovo secolo – era un altro locale ancora, si chiamava Sud del Mondo, sempre a Brera ma in via Solferino, vicino al Corriere della Sera ma per me soprattutto a un passo dall’Anteo. Tornato a vivere nel varesotto, nel 2006 lo invitai a Varese al Premio Chiara (era destino) per presentare Ho fatto giardino, da poco pubblicato da Mondadori. Fu una serata molto bella, presentata da Michele Mancino cronista di razza come era stato Pinketts in gioventù, con una eccezionale presenza femminile. Credo fosse lo scrittore noir italiano più amato dalle lettrici, almeno fino a Carofiglio. Quell’edizione del Premio Chiara fu memorabile e all’insegna del giallo, con una tavola rotonda sulla Milano rovente alla quale parteciparono Luca Crovi, Umberto Lenzi, Roberto Curti, Davide Pulici e un altro compianto amico, Alan D. (Sergio) Altieri. Good old days. L’associazione Andrea G. Pinketts credo voglia ristampare tutti i primi libri. Il mio preferito tra i letti è Il conto dell’ultima cena. Chabrol è d’accordo con me. No, non sono impazzito: viene consigliato dalla mamma libraia di Ludivine Sagnier a un certo punto nel film di Claude Chabrol L’innocenza del peccato (2007). Il conto dell’ultima cena fu pubblicato in Francia da Rivages, al regista piacque molto e contribuì a rendere Pinketts popolare, tanto da essere insignito del titolo di Chevalier des arts et des lettres. I due diventarono amici e corrispondenti, come lo stesso scrittore racconta qui https://www.youtube.com/watch?v=UieGKau7Xe4.

 

L’innocenza del peccato di Claude Chabrol