Valentina Banci: I Giganti della Montagna (voce sola), un ruggito sulla condizione umana

Un grande classico, di sconcertante attualità soprattutto in questi tempi. Valentina Banci ha sentito l’urgenza di dirigere e interpretare I Giganti della Montagna, ultima opera incompiuta di Luigi Pirandello e suo testamento artistico in cui parla di un mondo che ha estromesso l’arte, confinandola ai margini. L’attrice pratese, sola in scena, si fa abitare dai vari personaggi. A poco a poco Ilse, l’attrice tornata a calcare le scene e Cotrone, il mago ritiratosi dalla società prendono il sopravvento. Nel finale, che Pirandello non fece in tempo a scrivere ma raccontò al figlio, un’importante invettiva sulla condizione dell’attore scritta dalla stessa Banci. L’abbiamo incontrata in occasione del debutto al Teatro della Contraddizione che, proprio con I Giganti della Montagna (voce sola) apre la stagione 2020-2021.

 

 

I Giganti della Montagna in questo momento particolare assume una potenza incredibile. Quando hai deciso di metterlo in scena?

Avevo già interpretato Ilse in una versione europea, recitata in sei lingue e mai arrivata in Italia. Negli anni ho continuato a rimuginare su quel lavoro perché come tutti i grandi classici, ti rimangono sempre un po’ addosso. Durante il periodo di chiusura, o meglio di clausura, per sopravvivere tutti noi abbiamo cercato di attaccarci a delle idee e di portare avanti dei progetti. Questo mi è piombato addosso come in sogno, una notte, in maniera molto pirandelliana. In realtà stavo lavorando su Čechov, altro autore da me amatissimo, e una notte mi è comparso in sogno Pirandello… Lo amo tantissimo, I Giganti e Questa sera si recita a soggetto sono tra i testi che prediligo. Così ho cominciato a ristudiare I Giganti, ci sono rientrata dentro e l’ho sentito potentissimo, è un testo molto complesso, che può essere letto a tanti livelli, che vuol dire tutto e il contrario di tutto. L’elemento centrale è quello della condizione dell’arte in un mondo ormai dominato dalla volgarità di pensiero dei Giganti che oggi potrebbe, forse, essere il capitalismo, la monetizzazione di tutto. Un giorno ho scritto un pezzo, probabilmente sotto l’influsso di Pirandello, ma senza legare subito quest’esperienza di scrittura con il lavoro che stavo facendo, anche di drammaturgia, sull’assolo dei Giganti. È un testo sulla condizione dell’attore, da sempre escluso dalla società, oggi è stata solo portata alle estreme conseguenze da un punto di vista intellettuale e di pensiero, e l’ho fatto diventare il finale di questi Giganti (voce sola). Anche il titolo mi sembrava alludere a un doppio senso: la solitudine nella voce, qui ridotta a un monologo, ma anche una solitudine più generale.

 

Inevitabilmente un finale molto politico…

Con questo finale ho fatto fare ai Giganti un salto nel presente. Sì, è un testo politico, per nulla ruffiano, anche contro me stessa, è graffiante, cattivo, insomma… non voglio dire troppo, ma è una posizione molto estrema e credo che Linzi abbia voluto fortemente il lavoro perché tutto il testo di Pirandello – che ha un valore immenso, è ovvio -, in questa forma è come se fosse una grande rincorsa per arrivare a questo finale. Che poi altro non è che il grido di ogni artista, ma non solo. Certo io l’ho scritto dal punto di vista dell’attore anche perché mi sono legata idealmente alla posizione di Ilse: in questo lavoro racconto, in un certo modo, anche il finale ipotetico dei Giganti che Pirandello raccontò al figlio. C’è, quindi, il racconto della morte di Ilse e, idealmente, è legato alla condizione di un artista morto di fame, però ho la presunzione, spero, che apra lo spettro. Per chi vive o cerca di vivere di arte è ovvio che ha una potenza precisa in quella direzione di pensiero, ma credo che Pirandello abbia voluto dire molto di più, che sia un testo che parli dell’impossibilità del mondo di volgere ancora lo sguardo alle stelle. Per questo mi auguro che questo finale non sia solo un ruggito molto politicamente scorretto di un attore morto di fame, ma che sia anche un urlo di richiamo verso dei valori che stiamo perdendo per strada. Penso al richiamo forte, presente in Pirandello, alla natura, altro tema di grande importanza in questo momento. Ci sono cose bellissime che Cotrone dice sul rapporto con la natura, con il mondo ultraterreno, quando parla degli spiriti che vivono nelle rocce, nel fuoco, che sono nei boschi e come invita a rientrare in contatto con queste forme impalpabili, ma che ci avvolgono.

 

 

Inizi dando voce a tutti i personaggi per poi concentrarti su Ilse e Cotrone.

Sono partita in questo lavoro pensando di fare i vari personaggi con l’aiuto di oggetti, poi ne è rimasto solo uno e tutti i personaggi li ho portati su di me. All’interno della mia drammaturgia, che è solo di taglio sul testo – non mi sono permessa di riscrivere Pirandello, le parole sono le sue – tutti questi personaggi confluiscono nelle due grandi voci contrapposte di Ilse, che vuole continuare a portare la poesia nel mondo, e di Cotrone convinto, invece, che l’unica possibilità per frequentare l’arte, ma anche l’arte di se stessi, la possibilità di entrare dentro di noi, di tirare fuori i fantasmi nascosti e farli diventare una forma d’arte, sia vivendo fuori dalla società in una situazione ritirata in compagnia di quelli che noi, oggi, chiameremmo dei falliti. Il popolo che circonda Cotrone nella villa degli Scalognati, lo dice il nome, è composto da emarginati della società che possiedono capacità incredibili di vedere il mondo con altri occhi.

 

 

Cotrone e Ilse rappresentano due posizioni contrapposte: l’arte staccata dalla società e l’arte che il pubblico non capisce e rigetta.

Da un certo punto in poi diventa veramente un dialogo tra queste due posizioni intellettuali. La cosa incredibile è che Ilse viene uccisa dagli uomini, il popolo che non è più in grado di capire la forza della poesia. I Giganti si tengono fuori da questa dinamica e donano lo spettacolo al popolo imbarbarito, che poi materialmente uccide Ilse perché non la capisce. C’è questa scena ferocissima nel racconto del finale che Pirandello non ha fatto in tempo a scrivere, in cui il popolo dice che si vuole divertire. Sembra di sentire echeggiare le parole di qualcuno che dice che il teatro deve divertire…

 

Pirandello non salva nemmeno gli artisti perché non sanno parlare agli uomini. 

È questa la cosa grandiosa. Purtroppo per ragioni drammaturgie ho dovuto sacrificare questo concetto. Un po’ ce lo dimentichiamo, praticandolo noi teatranti, per amore di noi stessi e della povera arte del teatro, cerchiamo di portarlo un po’ a noi, ma in realtà Pirandello è spietato con gli artisti. Non salva nessuno, forse se stesso ovvero Cotrone, in quel momento della sua vita evidentemente gli sembrava che andarsene e abbandonare, piuttosto che lottare sul campo, fosse una condizione ideale. L’ha scritto in un momento storico particolare, per lui i Giganti erano i fascisti, in quel momento era in crisi con la dittatura.

 

Dopo le tante vicissitudini il Teatro della Contraddizione ha scelto il tuo spettacolo per riaprire la stagione. Un inizio stagione che indica la rotta…

Marco Maria Linzi è stato molto caro, non è riuscito a venire a vedere lo spettacolo in Toscana dove ho debuttato a fine agosto alla Cava di Figline, ha visto un video che gli avevo mandato quasi per gioco. Aveva già abbozzato la stagione e ha cambiato lo spettacolo d’inizio quando ha visto il mio lavoro perché riteneva – e lo è non grazie a me, ma a Pirandello – molto significativo sullo stato attuale dell’arte, del rapporto della società con l’arte. Io direi che è significativo, da un punto di vista metaforico, sulla condizione del mondo in generale adesso, lo svincolerei da questo senso unico del rapporto dell’artista con la società che spesso diamo ai Giganti della Montagna. Secondo me parla proprio del rapporto del mondo con la bellezza e la poesia e della possibilità di guardare al futuro in un modo utopico o, meglio, il non-rapporto attuale che il mondo ha con l’utopia, la bellezza e la poesia. Linzi ha sentito fortemente che questo era un tema che dava significato alla loro riapertura dopo tutto quello che è successo e l’ha fortemente voluto dicendo: «Porto questo spettacolo a inizio stagione come se portassi un manifesto di pensiero». Ne sono onorata.

 

Foto di Luca Del Pia

Milano, Teatro della contraddizione fino al 25 ottobre (h. 20,30)